mercoledì 28 ottobre 2015

Recensione La casa di Parigi

Gente, buongiorno!
Finalmente oggi vi parlo de La casa di Parigi di Elizabeth Bowen, letto in pochissimo tempo ma che ha, invece, richiesto tanto tempo per essere metabolizzato. Strano che per alcuni libri il tempo di lettura sia inversamente proporzionale al tempo di "digestione". Con la vecchiaia, sic, mi accade più spesso di quanto si immagini. Forse perché scelgo libri più complessi, diciamo così, rispetto a quelli che leggevo prima. Comunque, i miei complimenti a Sonzogno che da un po' di tempo a questa parte sta pubblicando tutta bella robetta che qui, in casa Nereia, è molto ben gradita (ma la copertina? Eh? La copertina?! Oddeo!).

Titolo: La casa di Parigi
Autore: Elizabeth Bowen
Editore: Sonzogno
Traduttore: Alessandra Di Luzio
Pagine: 286
Prezzo: 16 €
Il mio voto: 3,5 piume

Trama

Siamo a Parigi, in inverno, la Grande guerra è finita da poco, aleggia sulla città un'atmosfera cupa e vischiosa. Alla Gare du Nord scende Henrietta, undici anni, con in mano la sua scimmietta di pezza. Viene a prenderla la signorina Fisher, un'amica di famiglia che la ospiterà per una intera giornata in un elegante appartamento, in attesa di farla ripartire per il Sud della Francia. In quella casa borghese, dal confortevole odore di pulito, Henrietta si imbatte in una gradita sorpresa: c'è un suo coetaneo, il fragile Leopold, avviato verso un futuro incerto. Tra i due bambini, estremamente sensibili e inquieti, dopo l'iniziale diffidenza, si accende la curiosità: di ciascuno nei confronti dell'altro, e di entrambi verso il misterioso mondo degli adulti. I due fanciulli, grazie agli indizi disseminati attorno a loro, rivivono, tra immaginazione e realtà, le tormentate storie d'amore dei grandi, in particolare quella scandalosa tra la madre di Leopold e il suo padre naturale. Acclamato come un classico al momento della pubblicazione (1935), "La casa di Parigi", oltre a mettere in scena una rovente passione sentimentale, è un acuto studio psicologico e un esercizio di finezza letteraria sulla prima irruzione del dolore, sulla scoperta del sesso e sulla perdita dell'innocenza.

La recensione

Dopo diverso rimuginare (e rimandare!), sono riuscita a scrivere la recensione de La casa di Parigi di Elizabeth Bowen, pubblicato da Sonzogno nella traduzione di Alessandra Di Luzio.
È un'impressione che avevo avuto già leggendo La morte del cuore, pubblicato da Neri Pozza nel 2012, quella che la traduzione dei testi della Bowen non sia poi cosa leggera. Un po' per il lessico utilizzato e il registro stilistico dell'autrice e, in larga parte, per i suoi repentini cambi di punti di vista. È un'autrice difficile la Bowen, da leggere e da tradurre.
La casa di Parigi, apprendo solo dopo averlo letto, è il quinto romanzo di Elizabeth Bowen, autrice irlandese vissuta tra il 1899 e il 1973 di cui avevo scoperto le uniche due opere pubblicate in Italia grazie alla biblioteca vicino casa mia.
La Bowen, insieme ad altri illustri artisti quali la Virginia Woolf – che ne era anche la fondatrice insieme al fratello –, Lytton Strachey ed Edward Morgan Forster faceva parte del Bloomsbury Group, nato come un'assemblea sociale informale di neolaureati all'Università di Cambridge. Sebbene si occupassero di arte in modi diversi, del gruppo non facevano parte solo scrittori ma anche pittori, critici e musicisti, accomunati dallo stesso pensiero: l'importanza dell'arte. Le loro singole opere, perché come gruppo non produssero mai nulla, influenzarono la letteratura, la critica, l'economia e furono di grande riferimento per movimenti quali il femminismo e il pacifismo.
Leggendo le opere di Elizabeth Bowen, autrice praticamente sconosciuta in Italia, non è difficile immaginare in che modo la sua scrittura abbia influenzato la letteratura anglosassone.

Nello scrivere La casa di Parigi, la Bowen si avvale del concetto filosofico del tempo, suddividendo il romanzo in presente, passato e presente progressivo (presente continuous in inglese, tempo verbale non appartenente alla lingua italiana) e ambienta gran parte della vicenda, salvo il passato, in un unico luogo: la casa di Parigi della signorina Fisher.
È interessante questo aspetto del romanzo perché il tempo è un non tempo: tutto rimane sospeso, senza che il tempo fisico corrisponda mai al tempo mentale.

lunedì 26 ottobre 2015

Photoshop non ti conosco, obbrobrio non ti temo, Paint ti amo 26 ottobre – 1 novembre



E buongiorno!
Sì lo so, è lunedì, inizio settimana per tutti, meno entusiasmo sarebbe meglio. Ma tanto per me, ormai, un giorno vale l'altro se non fosse che è un periodo in cui a casa non ci sto quasi mai – e mica per lavorare eh, che qua non se batte chiodo e manco puntina – ma perché mi ritrovo impelagata in migliaia di cose inutili che faccio pure gratis (quando si dice l'idiozia) e quindi niente, manco riesco ad aggiornare la pagina Facebook, figuriamoci a scrivere un post. Quindi anche per questo lunedì pubblico in ritardo e mi dispiace. Ma, d'altronde, anche la vostra pausa pranzo va allietata con le uscite demmerda in libreria, no? 
Andiamo a incominciare, ché c'è talmente tanta robba che ho dovuto operare – ahimé – una scelta. Mi scuso in anticipo per la quantità di parolacce contenute nel post, ma sarà l'odio che ho maturato in settimana per l'umanità, sarà che ho bisogno di dormire per più di sei ore di fila che boh, sono aggressiva che neanche le arpie.

Capisco tutto, veramente. Capisco davvero tutto, la passione per Master Chef, per lo chef Rubio, per Cracco e le sue Rustiche del cacchio – fermate quell'uomo! So' patatine, glielo dice qualcuno per favore che so' semplici patatine industriali fritte nell'olio del motore di una Panda 4x4?!
Quindi, capisco tutto. Però, santo cielo, ma una tizia che beve da un cucchiaio di legno, con le palpebre rugose e la posa equivoca e il cucchiaio, tra l'altro, fuori fuoco... Il nome dell'autrice scritto in mimuscolo perché dovevano farcelo entrare nel cucchiaio, poi... Seriamente? Se si fosse chiama Uga Fea pure pure, ma sta tipa ha pure due cognomi! Ma come se fa?
Seriamente, se non siete in grado di usare Photoshop annate a Villa Pamphili a pascolà la cana della vostra dirimpettaia, ma non usate lo spray di Paint che sfuoca e lo fate a caso, un po' sulla zazzera, un po' sul collo, un po' sul cucchiaio. C'ha pure il collo che sbrodola sulla bretella del grembiule...
Avrei, inoltre, due osservazioni da fare. La prima è che quei bozzi strani alla fine del collo di lei mi inquietano. Sembra stia per uscire un mostro da lì, un surrogato di Alien, non saprei. Si sta trasformando per caso? Bravi che avete cercato di coprirli con il titolo più cagata che siete riusciti a partorire, con il font più bimbominkiesco che ultimamente si trova in tutti i libri de merda per un pubblico de merda. Ma, suvvia, non siamo così cattivi, ché un titolo così magari nasconde una simpatica storia (ironia). La seconda osservazione è sulla trama, ovviamente. La scheda ci dice che la tizia dalle palpebre rugose (checcazzo, ma almeno sfuocate quelle e sistematele il sopracciglio sulla destra che è diverso dall'altro... Se una se fa fà le sopracciglia dall'estetista appena operata de cataratta, vedi che succede?!) si chiama Agata e non c'ha un uomo manco a pagarlo oro; dopo Marco, poi, non crede più nell'amore (chepppalle sta gente, ma che vita triste se l'unica cosa che cerchi nella vita è l'uomo!). Agata la scontata, dicevamo, c'ha il nonno ottantenne con i pensieri porno ancora attivi e la zia che le fa da agenzia matrimoniale (a lei, non al vecchio rimbambito). Ora, cara Agata, il consiglio è questo: ce la fai a dire a tua zia "A zì, fatte i cazzi tua che quei cessi coi risvoltini che mi propini non sanno manco cambià una lampadina"?!. Ecco, fallo Agata, che non c'è cosa peggiore che avere i parenti rompi palle che o ti chiedono quando ti fidanzi o ti propino dei casi umani senza pari. Comunque, tranquilli, la vera Agata alla zia non dice niente. Perché è cretina, ve lo dico io. 

Non so su cosa soffermarmi. Sul titolo visibile anche da un paio di km di distanza? Sull'inutilità di questa copertina in generale? Sul colore dello sfondo? 
Cosa diavolo avete fatto quel giorno quando siete andati al lavoro? Una pista di borotalco e semi di lino? Ma cosa è successo, non vi arrivava il sangue al cervello?
Dio sacramentato, quando guardo questa copertina mi devo mettere gli occhiali da sole perché se la guardo per più di qualche secondo e poi distolgo lo sguardo vedo le stesse macchie che vedo dopo aver fissato la luce. Ma che è? Volete stordire chi passa davanti a questo libro così che lo compri per sbaglio? Si sofferma a guardare il libro accanto e poi, accecato dal viola Stabilo, piuttosto che comprare l'ultimo libro della signora Fletcher compra Wanted, la trilogia del desiderio. La signora Kenner, che sembra indossare una parrucca composta esclusivamente dai capelli strappati alle Barbie, scrive solo libri erotici e arriva finalmente (ironia!) in Italia con questa trilogia che guardate, se fossi un Hobbit avrei la pelle d'oca per l'emozione pure sui piedi. Wanted, Heated e Ignited hanno come protagonista – dice la scheda – Angie Reine, la versione americana della Santanché, che si lancia in politica perché il padre era senatore e noia, noia, noia tanta noia. Fino a quando non incontra Evan Black, un uomo d'affari troppo bono, troppo porco, troppo malandrino e noia noia noia, mutande strappate, morsi ai capezzoli, cerette audaci, preservativi profumati, cetrioli e sconosciuti in camera da letto magari combinati, cioè uno sconosciuto con un cetriolo (tra le mutande, in mano o nella borsa frigo nel caso si trattasse di un cetriolo di mare). Fine.

Ed è subito un salto indietro nel tempo, tra le bellissime copertine di Fabbri Editori della serie Darling, pubblicati negli anni '60 e con le copertine così brutte, ma così brutte che aiutateme a di' brutte.
E quindi riecco lo sfondo di un colore improbabile, con una tizia in copertina (di spalle per fortuna) che indossa una tenda che, tra le altre cose, le va piccola.
Ora, d'accordo la copertina fatta in economia con una foto scattata col cellulare... Ma almeno prendete una tenda Luigi XIV della taglia giusta! Santa miseria, ma c'ha le asole sulla schiena che stanno per esplodere, le si vede la pelle! Eddaje no, ma dico, ma una modella dal mento sfuggente e della taglia giusta faticavate a trovarla?
E poi che faccia ha? Tutta confusa, sembra che le manchino i lineamenti, manco le mummie oh. Il naso più piccolo del mondo, ma ce riesce a respirà? 
Il font con cui hanno scritto Sissi è aberrante, oltre a non c'entrare una fava con tutto il contesto, era meglio il Garamond della prima parte del titolo. La storia è sempre la stessa, ci conferma la scheda: la sorella di Sissi si deve sposare e invece si sposa lei, diventa imperatrice e tutti a dire che Sissi è fantastica perché è donna, non è tiranna, è bellina, c'ha un naso da paura, una tenda indosso che manco la sala da ballo del castello, il marito bellissimo, principissimo, imperatorissimo e poi però "ahhh, ma governare veramente non è come nei giochi di ruolo?" e quindi panico, paura e si accorge pure che il marito, alla fine, tanto bellissimo non è. Però lei rimane la Sissi figa che i sudditi ricordavano. E poi non lo so ragà, a me la storia di Sissi m'ha sempre fatto scende il latte alle ginocchia. Quindi se qualcuno nei commenti mi dice come va a finire... Grazie.

lunedì 19 ottobre 2015

Photoshop non ti conosco, obbrobrio non ti temo, Paint ti amo – 19/25 settembre



Gente, perdonate il ritardo nell'uscita di questa puntata di Photoshop non ti conosco, obbrobrio non ti temo, Paint ti amo ma sono stati due giorni abbastanza pieni. In più non sono proprio un fiore, sto più de là che de qua ma daje! Posso farcela :autoconvinzione mode on:
Ieri con somma gioia è partito il gruppo di lettura che coordino insieme a Letture Sconclusionate e, niente, che dire. Mi aspettavo più gente, ma va bene lo stesso. Non voglio lasciarmi andare in inutili polemiche. Dicevo, quindi, le uscite di questa settimana. Con immenso ritardo eccole qui! Contenti? Na cifra, immagino.

Basta, Abigail, basta. Hai rotto quasi il totale delle palle che ho a disposizione. Te, il matrimonio, il boss, la ragazza, l'ex. Basta. Hai sprecato oramai più di mille pagine sommando quelle di tutti i tuoi schifosi libri per non raccontarci niente, se non la storia di una cretina che io chiamo Sophie Schiff che s'è venduta la propria patonza al miglior offerente – il suo capo.
E basta, porcaccia la paletta!, quante altre pagine e quante altre parole vogliamo dedicare a 'sta cogliona? Manco Gandhi, ao', aveva tutte ste cose da raccontà. Osho ha scritto meno pagine, ecccheccazzo. Lo scorso volume si chiamava The Wedding, ma a sorpresa nessuno se sposa in quel libro. Manco la nostra Schiff, che oramai avrà 90 anni, dopo tutti sti libri. Vabbè, si sposa in questo  FINALMENTE e mi auguro che dopo diventi casa e chiesa così la nostra Barnette smette di grattugiarci i maroni con la storia di Neil dominatore e Schiff dominata. A quanto pare, dice la scheda, in questo libro a parte il matrimonio non succede altro. Saranno 352 pagine di mollette per i panni sui capezzoli, pinzette conficcate tra i denti e affetta mele non ve dico dove. 
Ma poi chi è sto ex?! I protagonisti di questi libri so' sempre due perché sarebbe troppo complesso gestirne altri e quindi, l'ex de chi? Che facciamo, mettiamo titoli casuali? Barnette, dicci la verità: quante parole conosci in totale? 50 comprese le note musicali e i punti cardinali?
La copertina è una delle cose più aberranti che io abbia mai visto, sembra un manifesto gay ma fascista che tu dici, come è possibile? Eh, boh, solo il bravissimo grafico Newton Compton poteva riuscirci. Tesò, questo viola anni '80 con lo sfondo nero e la scritta gigante nun se po' guardà. Neanche le foto dei culturisti presenti nello spogliatoio dove vado io in palestra sono così terrificanti. Le proporzioni, poi, queste sconosciute. Uno con quelle spalle e quel girovita, mio caro grafico, è praticamente deforme. Dopo il collo, ormai sopravvalutato, via anche il girovita, certamente inutile nel corpo umano.

Io ormai non li distinguo più. Queste braccia intrecciate di tizi seduti, se non ci fossero scritti i numeri accanto al nome della nostra amica Anna, avrei seriamente dei problemi a capire quale è cosa. Sarà il vomitevole effetto Crystal Ball, sarà la disgustosa moquette alta – daje de pulci e pidocchi! –, sarà quel segno dell'infinito (BASTAAAAA! BASTAAAA!! Cervelli di generazioni intere bruciati co' sto' cazzo di infinito sui bracciali, sugli occhiali, nelle collane, "no perché me ce lo tatuo piccolo piccolo quasi invisibile sull'inguine e uguale ce lo ha la mia amicicia preferita del cuore e anche il mio amicicio ghei e anche il mio fidanzato e già che c'ero ho portato anche Piero, la mia lontra di peluche, lo tatuo pure a lui proprio dritto sul suo cuoricino peloso") con i cuori dentro, sarà che non è possibile che la gente legga questa roba. Perché io ho letto delle frasi, che santa pazienza, viene da piangere per quanto è orrendo. Leggi due pagine e poi devi prenderti il Gaviscon per il reflusso gastrico. 
Questo comunque pare essere il quarto volume, ma non dico che è l'ultimo perché la storia è così bella che io ce farei un altro paio di volumi e due o tre spin off. La scheda dice che costa SOLO 17,90 euro per un totale di 416 pagine scritte, mi auguro, in carattere 36 con interlinea larga perché la trama è questa: lei ha finalmente mandato a cagare il fidanzato stronzo e vive a Seattle. Ma mentre pensa che finalmente può ricominciare una vita, lui inaspettatamente va a romperle i maroni insieme al padre. Così, giusto perché un po' di stalking non fa mai male. Sarà diventato il bravo ragazzo che tutti sognano? O è ancora pieno di tenebre fino all'orlo? Ma che tenebre ci può avere un parassita di quanti anni, 20? Le tenebre ce le ha la Todd, nel cervello però.

Semplicemente raccapricciante. Lei presenta discreti problemi alla colonna vertebrale, considerando il fatto che riesce ad assumere quella postura, probabilmente è una circense che sa come ruotare la parte superiore del corpo in quel modo. Con questa tizia qui, che ci dice la scheda si chiama Pixie (Pixie? PIXIE?!), non c'è storia nelle gare di limbo, ve lo dico eh.
Oltre ai gravissimi problemi alla schiena, Pixie presenta anche molti problemi mentali dato che trova attraente un tale che o ha quel bozzo in bocca perché tiene un felafel nascosto sulla parte superiore della guancia o è senza labbro. Preferirei che il motivo di quella faccia da cozza al sole sia il felafel nascosto in bocca. 
Lei ha la bocca aperta in quel modo innaturale, con un accenno di lingua sospesa nel vuoto e gli occhi da triglia morta da due giorni. E poi, ragazza, la prossima volta mettiamoci il reggiseno, che se hai le tette pendule non è il caso di mostrarle al mondo. E non metterti le canottiere slabbrate la prossima volta magari eh.
Ma, povera Pixie, non solo ha il nome delle Winx ma sta anche cercando di dimenticare il felafel dipendente, che si chiama Levi, che però è lì dove si trova Pixie, nell'albergo della zia. Lui, di contro, vorrebbe chiederle scusa ma sa che non servirebbe a niente e quindi se fa bellamente i cazzi sua. Non si capisce di quale colpa si sia macchiato, ma pare sia una "tragedia" (lo dice la scheda) e quindi Levi, per farti perdonare farsi i cazzi propri non è la strategia giusta. Sputa quel felafel e vai a inginocchiarti sui ceci, magari le compri una stella col suo nome che lei me pare proprio quel tipo di ragazza che va in estasi con queste cretinate. Poi, ecco, se nel frattempo passi pure da Intimissimi a prenderle un balconcino... Grazie eh, grazie mille.

mercoledì 14 ottobre 2015

Francamente me ne infischio #7



Ooook, dunque. Era da tanto che non mi capitava di leggere un libro così orrido e così portatore di rabbia! Per fortuna, allora, che abbia deciso di intraprendere la lettura della serie di Divergent, così ho potuto esperire stati di ansia, allucinazioni e una noia mortale nel leggere gli ultimi dieci capitoli. 
Dici, è un romanzo per ragazzi, d'azione, dovresti divorarlo. Sì, certo, tra una bestemmia e uno sbadiglio ci ho messo ricchi 20 giorni per terminarlo. E no, non è perché è in inglese che l'ho letto, perché con Fangirl di Rainbow Rowell (qui la recensione) ci ho messo circa 5 giorni e il numero di pagine era lo stesso. È che proprio questa saga, a me, non entusiasma. Non capisco i voti così alti, anche da ragazzina mi avrebbe annoiata a morte. Santo cielo, io leggevo la serie di Norby di Asimov quando ero piccola, Divergent e Insurgent li avrei usati per pulirmi le scarpe dal fango quando pioveva.  
Comunque, a Divergent avevo dato tre stellette, convinta che comunque fosse un prodotto per ragazzi discretamente confezionato e invece... E invece il secondo volume si becca un bel Francamente me ne infischio!

Autore: Veronica Roth
Titolo: Insurgent
Prezzo: 12,11€ (con questa cover, altrimenti ci sono edizioni meno care)
Editore: Harper&Collins
Pagine: 525 (ma variano da edizione a edizione)
Il mio voto: 2, ma è più un 1,45


Riassunto, in breve, della trama. Ché sennò qua chi non ha letto il primo non capisce perché questo libro è una ciofeca.
Chicago, dopo un evento catastrofico che non sappiamo quale è, è governata da fazioni: Abneganti al potere (gli Abneganti sono i frigidi, per intenderci, altruisti per natura), Pacifici (hippie e agricoltori), Intrepidi (poliziotti – diciamo così – e teste di cazzo), Eruditi (scienziati e acculturati), Candidi (amici che non vorresti mai avere, dicono sempre la verità. Pensa alle amiche Candide "Cara, hai un culo che fa provincia, questo vestito fa schifo addosso a te. Se vuoi fare vomitare i passanti, però, indossalo pure". No, grazie, no Candidi tra le mie amicizie). 
Poi ci sono i Divergenti, gente che potrebbe appartenere a più fazioni perché presenta le caratteristiche di più di una Fazione (nel mondo reale sarebbero le persone normali) e i Factionless (senza fazione, ma non ricordo in italiano come si chiamano), persone che sono state cacciate da una fazione o se ne sono andate o hanno fallito l'iniziazione o blablabla. Per farla breve: i reietti.
Gli Eruditi, e cioè solo la loro leader perché degli altri non si hanno notizie, vogliono salire al potere e, quindi, commettere un colpo di stato. Il perché, reale, non si sa. Sì, ok, avere il potere e poi? Boh. Già che ci stiamo uccidiamo due o tre persone e facciamo esperimenti sui Divergenti, considerati pericolosi e "mamma mia, che paura! Una sedicenne in piena pubertà".
Quindi Jeanine inventa un siero che rende gli Intrepidi inutili esseri umani telecomandati. Inizia una guerra, dove gli Intrepidi a suon di mazzate e pistole uccidono centinaia di Abneganti. A questo punto, entrano in gioco Tris e Tobias/Four che sono Divergenti e la loro compagnia dell'anello (cioè la Resistenza – ma io la chiamo così, ché la Roth non è così acculturata). Tris e Tobias riescono a bloccare la simulazione che rende gli Intrepidi semplici burattini e scappano. Dici, perché non uccidono Jeanine? Boh. Una domanda che l'editor non deve essersi posto, ma il lettore mediamente intelligente sì. Ce l'hai lì, davanti, a portata di mano, una testata sul setto nasale e via. Invece no. Nel frattempo, insieme alle pagine in cui succede qualcosa, il lettore è costretto a sorbirsi diverse pagine dove non solo non succede niente, ma si assiste a dialoghi inutili e ridondanti su quanto il padre di Tobias sia brutto e cattivo e Tobias invece, con i suoi occhi blu scuro, una robba da paura, cioè guarda che lui veniva maltrattato, cioè non puoi capire, è coraggioso ma ha paura, la sua fronte sulla mia e una mare di cazzate di questo tenore.

Insurgent inizia proprio laddove Divergent termina. Tris, Four, Caleb (fratello di Tris) e Marcus (padre di Tobias) scappano per dirigersi verso il quartier generale (o come diavolo si chiama in italiano) dei Pacifici per cercare riparo e, soprattutto, aiuto contro Jeanine e il suo esercito.
E da pagina 15 credo, tutto è in discesa. Nel senso di un tracollo vertiginoso verso l'inutilità e l'idiozia. La Roth aveva costruito una storia e un contesto che, nonostante le pecche e le superficialità, poteva proseguire benissimo e rimanere una trilogia non dico ben riuscita, ma quasi. E invece mandiamo tutto a tarallucci e vino.

lunedì 12 ottobre 2015

Photoshop non ti conosco, obbrobrio non ti temo, Paint ti amo – 12/18 ottobre


Pensavo a noi non sarebbe mai successo. E invece succede a tutti prima o poi. Di dover fare una puntata di un post come questo, che raccoglie davvero lammèrda più schifosa in uscita in libreria, con solo due uscite. Di cui una è una ristampa. Mai, davvero, mai pensavo sarebbe accaduto, considerando anche che l'editoria nostrana è piena di persone incompetenti che lavorano alle copertine – e non solo.
E invece è così: questa puntata sarà breve. Brevissima. E manco avrò molto da dire, purtruppo, perché so' sì libri del cavolfiore, però... Però... Andiamo a incominciare, con la fascia nera al braccio in segno di lutto. Perché la prima uscita di cui mi occupo è un'uscita importante.

Li maledetti mortacci vostra e delle vostre stronzissime strategie di marketing del cappero! Quando fate 'ste cose io mi auguro sempre che veniate presi da un attacco improvviso e fastidioso di singhiozzo, uno di quelli che dura mezz'ora. Maledetti pezzenti! 
Perché poi, vestiti da paladini della giustizia, mi venite a fà i discorsi che un libro non è un prodotto commerciale?! Vi potessero cascà le unghie dei piedi ogni volta che dite una cretinata di questo tipo. E comunque, che vogliamo dire? Le trame non posso raccontarvele, possiamo semplicemente guardare queste orrorifiche copertine che fanno sembrare il tutto promosso da
a) Hasbro, casa produttrice dei Mini Pony
b) un'associazione che condanna le differenze di genere e va distribuendo nelle scuole volantini informativi sul mondo Gay & Lesbo
e dire, anzi urlare, tutte le parolacce che conosciamo. E magari mettere il punto alla situazione con un sonoro rutto. Perché, quando ti si presentano cose come queste (roba già successa con Twilight ) cosa puoi fare, a parte sognare di uccidere il responsabile dell'idea a tante cinghiate sul deretano?

Pensavo che la profondità fosse un concetto universale che solo i Simpson e The Sims 1 potevano violare e invece mi ritrovo la (nuova) copertina di Irresistibile tentazione che fa altrettanto. E non l'ho presa per niente bene.
A parte lo specchietto/porta pillole di Rose di Titanic, ma quell'anello di plastica che si trova nell'uovo di Pasqua poggiato proprio lì, cosa mi rappresenta? Che senso ha? Ma qualcuno poggia i propri gioielli su uno specchio per caso? Così, io torno a casa dal lavoro, per dire, e prima di lavarmi le mani mi tolgo anelli e orologio. E se non trovo uno specchietto – cosa possibile in camera mia –? Che faccio, stacco un attimo quello del bagno così posso poggiarci i gioielli sopra?
E poi basta, basta con 'ste copertine con lo sfondo tutto nero perché il grafico non sa usare le ombre. E basta, ancora, con oggetti a caso ritagliati dal dossier su Il segreto che è uscito con Amica due giorni fa. Basta, chiaro?
Anche perché, poi, la scelta degli oggetti dovrebbe indicare la serie Georgiana di Sylvia. Peccato che tanto i suoi libri so' tutti uguali, cambiano solo i vestiti dei protagonisti – indossati poco me pare di capire, dato che stanno sempre a scopà. Con le condizioni igieniche praticamente inesistenti dell'epoca c'era poco che esse libertini. Anzi, le donne avrebbero dovuto avere il terrore degli amanti da una botta e via, altroché.
Ma siccome poi dite che so' io che sono acida, che vedo tutto brutto, vediamo un po' la scheda (risalente alla prima pubblicazione, nel 2013, perché quella nuova non la trovo) che ci dice. Simon Quinn può avere qualsiasi donna, ma preferisce quelle da una botta e via. "La sua vita è fatta di pericoli e piaceri passeggeri, nulla da offrire al di fuori della propria esperienza di amante e di mercenario" (vi giuro, ho le lacrime agli occhi!). Fino a quando non incontra Lynn, per la quale prima ha una forte avversione, e poi invece si ritrova a immaginarla impegnata in posizioni poco ortodosse. Alla fine si rende conto di provare sentimenti contrastanti e forti, "quasi che vi siano due donne in una sola…" Ahahahaha maccheccazzo dici, scrittore di quarte di copertine? Fatteli altri due spritz prima di andare al lavoro, mi raccomando.

GOMBLOTTO! PLAGGIO! Newton Compton si autoplaggia! Questa è la reazione che ognuno di noi dovrebbe avere non appena si imbatte in questa copertina. Cioè, prima trattieni un conato di vomito e un attacco di dermatite e poi gridi al complotto e all'autoplagio. Che poi la dermatite non credo si possa controllare con la forza del pensiero, a differenza del conato di vomito – anche se dipende da tante cose – ma sono inutili dettagli.
Perché dico ciò? Del plagio, intendo, non del conato di vomito. Perché questa copertina è praticamente quasi uguale a quella del primo libro della Lick Serie. Lick Serie? Te credo che non l'hanno tradotto, io manco ve lo lo traduco, vi mando direttamente alla pagina di WordReference dove spiega cosa è la lick.
Dicevamo. Il primo volume, eccolo qua. Avevamo lasciato la nostra battona su un pavimento dopo una sbornia colossale, sposata con uno sconosciuto – ma chitarrista però eh, tatuato – e nuda (mi pare). E dire che doveva festeggiare il suo compleanno. Ma poi con chi esci tesò? Con gente che ti lascia sposare con uno appena conosciuto? Ma le protagoniste di questi libri c'hanno tutti problema con le amicizie? Ma de che cazzo de gente ve circondante?
Attenzione però, colpo di scena! La battona del primo volume non c'è nel secondo volume della serie. In che senso? Nel senso che il protagonista di questo libro è Mal, un batterista che ha deciso di ripulire la propria immagine. E perché? E che ne so io?!
Vabbè, fatto sta che cerca una tipa casa e chiesa con cui farsi fotografare (forse è per questo che la battona non c'è, gli faceva fare una figura di merda colossale) e incontra Anne, sua fan che colleziona poster della band e pure di Mal. E poi boh, grasse risate, dicono i commenti di illustri sconosciuti presenti sulla scheda. La cosa davvero importante è che tornano le dita palmate e torna, soprattutto, l'evidente cecità del grafico. Fratello, si vede lontano un miglio che non sai usare Photoshop. A parte le dita palmate, a cui ci eravamo già affezionati al primo volume, ma la tipa potevi troncarla in vita in modo che non sembrasse l'opera prima di Jack Lo Squartatore? Sembra sia andata incontro a un'affettatrice.

Per questa settimana è tutto. Spero non vi caschino le dita dei piedi e non verrete sorpresi a fissare le dita palmate della battona di turno, buon lunedì!

mercoledì 7 ottobre 2015

In my bookshelf #27



Buongiorno!
È già finito settembre, mese in cui io non è che mi sia comportata molto bene, ecco. Sì, lo dico perché ho acquistato esattamente 6 libri e non avrei dovuto prendere neanche quelli. Mi consola il fatto che, comunque, a parte un acquisto di 10 euro e 50 centesimi il resto lo abbia comprato a circa 3 euro – di media. Sì, perché io, da quando la Legge Levi è stata abbracciata dall'Italia, compro libri nuovi solo in presenza di sconti o in fiera (dove, comunque, la maggior parte degli editori a cui mi rivolgo fa almeno il 20% di sconto). Non sono d'accordo con la Legge Levi, non è un mistero. E non sono d'accordo perché i prezzi dei libri in Italia sono forse i più cari d'Europa, facendo ovviamente riferimento alla situazione stipendi. E adesso non venitemi a dire "no, ma in Francia ci sono sconti solo del 5% o niente" perché vi meno tutti. Sono sensibile all'argomento, molto sensibile. Così sensibile che qualche giorno fa ho quasi fatto a botte su Facebook con un soggettone che, vabbè, ve lo raccomando. Ma dato che è tanto che non faccio un post polemico sul mondo dell'editoria, la litigata di qualche giorno fa mi ha ridato vita (e malumore), così magari uno di questi giorni scrivo uno dei miei turpiloqui di quelli potenti – e lunghi – dedicato a 'sta cosa. Ma andiamo a vedere il mese di settembre, che l'è meglio.

Nella mia libreria, nel mese di settembre, sono approdati un sacco di libri, dicevamo. Parto dai prestiti o dai regali/omaggi, perché così mi sento meno in colpa.
Il primo è Radio Imagination di Seikō Itō pubblicato da Neri Pozza che, gentilmente, mi ha offerto una copia perché faccio parte del Bookclub. Sui miei scaffali è approdato anche Morto a 3/4 di Francesco Balletta, in verità un prestito avvenuto qualche tempo fa ma che ho deciso di leggere solo adesso. Perché? Boh, perché sono scema e leggo le cose con così troppa calma che mi sono accorta di non aver letto un sacco di cose che, invece, il mondo dei lettori normali ha già letto e digerito. Ma io, ormai è chiaro al mondo, non sono costante e normale in nulla, figuriamoci sulle mode dei libri. Ci arrivo, coi miei tempi rilassati, ma ci arrivo. Poi, e questo non so se vale perché ce lo avevo in mente da tanto, ma non mi ero mai interessata a possederlo (parliamo di un prestito anche qui), è approdato in casa Nereia Il club degli incorreggibili ottimisti di Jean-Michel Guenassia. Un bel libbbrone di 700 pagine pubblicato da Salani a un prezzo non proprio friendly. Salani, voi lo sapete, è difficile che abbia prezzi friendly.

Passiamo invece ai maledetti acquisti, ché io qua compro compro compro e poi, come al solito, alle cose belle ci arrivo in ritardo. Che li compro a fà se poi li leggo fra almeno un paio d'anni (se me dice bene)? Bella domanda. Non lo so, sarà che ho le mani bucate – possibile – e succede che mi lascio andare a facili entusiasmi che poi, invece, scemano miseramente.
Ho comprato, usati e a prezzi irrisori: Le lacrime di Nietzsche di Irvin D. Yalom perché ne ho sentito parlare così bene ultimamente che boh, mi è sembrata una scelta saggia accaparrarselo. Poi costava 3,90 e non ho saputo resistere. Lo stesso giorno, nello stesso mercatino e a un prezzo leggermente più basso ho preso Ragazze, cappelli e Hitler. Una storia d'amore di Trudi Kanter, pubblicato da E/O un paio d'anni fa (ve l'ho detto che arrivo alle cose con calma, no?). In un altro mercatino, qualche giorno fa, ho acquistato invece La vita moderna di Susan Vreeland e Festa d'amore di Charles Baxter. Approfittando del 25% in libreria e di un po' di punti sulla mia tessera Feltrinelli che mi porto dietro da circa un paio d'anni (non ci compro da Feltrinelli, se non quando stanno per scadere i punti e per rinnovarli acquisto una matita da 1 euro), ho preso La prossima volta di Holly Jones Goddard che, sebbene sia un Fazi – che tra le altre cose lavora su Roma – era posseduto in unica copia da due Feltrinelli e basta. Uno scandalo. Ma chi li distribuisce i libri Fazi? Non va affatto bene questa cosa, Fazi sta cacciando fuori un catalogo davvero interessante e merita di essere visto da tutti, va bene? Ecco.
Il grande acquisto, l'unico per il quale non me a sento di rimproverarmi, è il LIBRO per eccellenza. Sto parlando delle Lettere delle sorelle Bronte, edito da SE a un prezzo davvero spaventevole. 21 euro per circa 200 pagine che, tranquilli, io ho accaparrato al 50%. Lo cercavo da un bel pezzo per rimpinguare il mio scaffale Bronte (composto da diversi libri che riguardano le sorelle e, in particolare, la mia Charlotte. Un giorno, quando avrò una libreria di nuovo, vi faccio la foto per mostrarvi la follia).

lunedì 5 ottobre 2015

Photoshop non ti conosco, obbrobrio non ti temo, Paint ti amo – 5/11 ottobre



Altro lunedì, altro giro di boa, altre domeniche passate a non fare una mazza, altre uscite in libreria!
Che cosa ci riserverà l'italica editoria? Quali libri imperdibili si paleseranno in libreria dalle copertine satinate, piene di lustrini, donne storpie dai capelli tinti, titoli imbarazzanti e trame orrorifiche?
Ma, soprattutto, saranno tanti? Sì, lo saranno, saranno tantissimi. Per la vostra, e la mia, gioia. Andiamo, andiamo a vederle, ché oggi è la puntata più lunga EVER di Photoshop non ti conosco, obbrobrio non ti temo, Paint ti amo.

La casa editrice anglosassone (Atom) di questa serie di libri c'ha sto problema grave, ma davvero grave, con le pecionate. Cioè, che proprio alla Atom je piacciono le pecionate. E mica sto qui io a dar aria alla bocca e a fare le trecce ai cavalli, quando dico una cosa la dico per davvero. Che qua ci si documenta seriamente eh, prima di scrivere qualcosa.
Ora voi ditemi perché uno sano di mente, uno che non ha mai sbattuto la testa forte forte forte cadendo dalle scale, debba pensare di fare una copertina come questa qui. Oppure, come quella del precedente volume (che potete ammirare qui). O, ancora peggio, come quella del volume successivo, che sembra fatta con la grafica utilizzata per la versione beta di Second Life. Ma cosa cazzo sei, cieco per caso? Vai al lavoro bendato?  Questa tizia tutta storta, con i capelli fatti di plastilina e una sola gamba, di spalle in un vicolo che sembra un misto fra una di quelle strade buie e secondarie che, generalmente, puzzano di pipì che manco i bagni chimici, e la strada – in fondo – che porta a casa di Shrek, nel regno di Molto, molto lontano. Il vestito di acetato, poi, deve essere un must nel posto dove vive sta tipa. Dovrebbe essere un immancabile nell'armadio di chiunque: camicia bianca, pantalone nero e abito blu cobalto di acetato. Così, se uno che fuma per sbaglio ti si avvicina per chiederti che ora è, tu prendi fuoco. Comunque, questo è uno dei vicoli più brutti e malfamati di Parigi, come ci dice la scheda, dove la nostra eroina sghemba si è innamorata di Vincent, una creatura sovrannaturale. Lui le promette che la difenderà da tutto, pure dai suoi amici. Che amici c'hai? Cannibali? Sarà pure lui cannibale? Non si sa. Fatto sta che, stando ai titoli, nel primo volume qualcuno doveva morire e non mi pare sia successo niente, in questo pure, nel terzo magari finalmente lui se la mangia viva e via, vissero tutti felici e contenti. Certo magari la spoglia prima, ché l'acetato tra i denti, secondo me, non è molto comodo.

No, questa non è la borsa che l'altro ieri avete visto appesa al negozio cinese sotto casa vostra. Ha proprio la stessa trama, pure lo stesso materiale e so' sicura che costa pure 10 euro ma no, questa non è quella borsa. È la pelle di un drago.
Si vede che il grafico che s'è occupato di questa copertina prende l'autobus proprio lì dove lo prendete voi che avete visto una borsa finta coccodrillata, rossa, a 10 euro.
Una bella e conveniente borsa in vera finta pelle di drago.
Il rosso poi, finto metallizzato, una roba che ce li vedo i draghi metallizati. Voi no? Pieno, il fantasy ne è pieno di draghi con la vernice delle auto al posto della pelle.
Voglio dire, già poi la signora Julie fa Kagawa di cognome, perché dobbiamo proprio infierire? Il destino non era stato abbastanza crudele con lei?
La storia, dice la scheda, è che i draghi si sono quasi estinti a causa dei cavalieri di San Giorgio. Ma qualcuno è sopravvissuto, s'è nascosto e ora vuole governare il mondo (ma 'sti draghi parlano? Domanda legittima). Ember e Dante sono fratello e sorella, draghi, e vengono mandati a infiltrarsi tra gli umani. Come teenager. Quindi non solo i draghi parlano, diventano pure umani. Julie Kagawa, ma de che droghe te fai? Io capisco che un cognome così ti abbia portato, in adolescenza, alla depressione e al conseguente uso di stupefacenti, ma i draghi teenager? Che ne so, potevi sviluppare un altro passatempo visto che eri depressa, potevi leggerteli i fantasy al posto di scriverli, potevi partecipare alla gare di uncinetto, ad esempio. Julie, dai retta a me, la prossima volta che pensi di scrivere un libro datte al birdwatching, che è meglio.

Santa Creanza, ma ce la fate? Ce la fate a non mettere cose a caso su uno sfondo a caso? Secondo me il grafico ha una cartella sul desktop che si chiama "emergenze" e da lì attinge per prendere cose a caso, senza spessore, senza ombre, per appiccicarle quando qualcuno non guarda. Mi piace in particolare questo fantastico molo che porta verso il nulla cosmico. Vedete una barca in fondo per caso? No. Quindi sta tizia senza braccia, verso dove corre? Verso il nulla.
Ho fatto la prova in camera, a correre con le braccia in avanti, vi assicuro che è scomodo. Non so Annabel, ci dice la scheda che si chiama così, come faccia. Forse, davvero, gliele hanno tolte in fase di lavorazione, un po' come il seno delle Amazzoni. Via queste inutili braccia, sono troppe e sono di troppo! E poi per correre servono solo le gambe!
Ma dicevamo della trama. Dopo un matrimonio finito male e un brusco divorzio, Annabel si trasferisce sull'isola di Rüge, nel Mar Baltico, a fare cosa non si sa. Ma ci sono le scogliere, le pietre di gesso e qualche altra cosa del genere. Un giorno, dal nulla, decide che deve comprarsi una barca. Perché, voglio dire, chi è 'sto sfigato che abita in un posto di mare ed è senza barca? Lei mica vuole essere una pezzente. Ma, attenzione, guai in arrivo perché pure il bello della città è interessato alla stessa barca della nostra amica senza braccia. Si chiama Christian Merten, è affascinante e vuole acquistare quella barca "per ragioni oscure". Ma che vor dì? Ma perché, lei ragioni di lei sono mejo? Oscure, tzè. La vuole e basta, proprio come lei. Mo' vedi se uno deve condividere col mondo le proprie cose perché sennò Miss Capelli di Merda qui accanto si risente. Comunque, dato che Ficcanaso Annabel non riesce a farsi gli affari suoi, Christian le racconta la storia che quella barca nasconde un segreto: una donna, proprio con quella barca, è fuggita dalla Germania Est. Mi auguro non sia partita da Berlino, sai quanta strada a piedi con la barca in spalla?

giovedì 1 ottobre 2015

Ciarlando allegramente di... #12

Un bel po' di tempo che non mi lasciavo andare a una puntata di Ciarlando allegramente di... che, ricordiamolo ché non fa mai male, è quella rubrica nella quale parlo di alcuni libri facendo delle mini recensioni, senza entrare troppo nello specifico. L'ultima puntata era dedicata a Glenn Cooper – che Dio me ne scampi e liberi – e a Robert Seethaler con il suo Una vita intera.
Oggi, invece, vi parlo di due libri – non proprio di nuova pubblicazione – che ho letto e apprezzato. Strano, considerando l'anno di pessime letture che ho fatto – non tutte, ovviamente, ma per la maggior parte. E siamo ancora a settembre, chissà cosa mi riserveranno i prossimi mesi. Ma, dicevo, quelli di cui vi parlo oggi sono due libri belli e quindi gioiamo di questa cosa! Nacchere, makarena, tequila bum bum (tutte cose notoriamente festaiole)!

Il terrorista e il professore, romanzo di Vito Faenza pubblicato da Edizioni Spartaco nel 2014, è stato da me ricevuto in omaggio dalla casa editrice in accompagnamento a Quando le chitarre facevano l'amore di Lorenzo Mazzoni. Non mi aspettavo un secondo libro in omaggio, devo essere onesta, però ho molto gradito non solo il gesto – io, non so se ve l'ho detto, ma gli Spartachi sono belle persone, se li beccate a qualche fiera andate a farvi consigliare un libro – ma anche la scelta del titolo.
Non leggo romanzi o saggi che trattano la mafia o il terrorismo, né seguo documentari o film sull'argomento. Il motivo è semplice: la mia conoscenza della politica è troppo blanda per poter davvero trovare l'argomento mafia-politica interessante. Nel caso de Il terrorista e il professore, invece, l'argomento è trattato in modo differente, nel modo in cui io preferisco affrontare argomenti importanti, quali la mafia e la politica: attraverso un romanzo. Vito Faenza ci racconta di Don Vittorio, un boss della camorra – conosciuto da tutti attraverso soprannome di referenza Il Professore – che, dal carcere, continua a dirigere indisturbato i suoi loschi affari, complici uno stuolo di politici e poliziotti corrotti. Ma Faenza ci racconta anche la storia di Aldo, soprannominato Il Sindacalista, che sebbene non ne faccia parte attivamente, è in contatto con le Brigate Rosse. Arrestato a causa di una sciocca dimenticanza dei suoi compagni, finisce in carcere ed entra in contatto con Don Vittorio con il quale, teoricamente, non dovrebbe avere molto a che spartire, almeno ideologicamente. Don Vittorio e Aldo, invece, stringono un sincero rapporto di amicizia fatto, ovviamente, anche di esplicite richieste di favori e intercessioni.
Nonostante l'autore utilizzi nomi e personaggi non corrispondenti alla realtà, Il terrorista e il Professore fa un chiarissimo riferimento a una storia realmente accaduta: quella del sequestro di Ciro Cirillo (assessore regionale ai lavori pubblici in Campania) da parte delle Brigate Rosse nel 1981. Faenza si appropria delle diverse incertezze e degli intrecci che riguardano l'intera vicenda del sequestro di Cirillo per fornire una possibile versione dei fatti che vede coinvolta, nel rilascio, la figura di Don Vittorio (Raffaele Cutolo, all'epoca leader della Nuova Camorra Organizzata e chiamato da tutti O' Professore). 
Uno stile di scrittura asciutto e diretto rendono la lettura de Il terrorista e il professore interessante e piacevole (nonostante il tema trattato). Corto, forse un po' troppo, ma non per questo poco appassionante, è un romanzo che fa riflettere e che, in un certo senso, fa anche un po' paura perché reale ma, soprattutto, ancora molto attuale. Leggerlo dopo il funerale di Casamonica a Roma, avvenuto nel mese di agosto e per il quale si è sollevata una certa polemica che ha visto protagoniste anche le forze dell'ordine (le stesse forze dell'ordine che fingono di non sapere ciò che fa Don Vittorio), è illuminante: dagli anni '80 ad adesso, nulla o quasi pare essere cambiato.