mercoledì 30 marzo 2016

Questione di incipit #4



Buongiorno!
Questa cosa di condividere ogni settimana l'incipit di un libro di merda mi sta sfuggendo di mano, soprattutto perché dovrò un po' invertire l'ordine di lettura dato che, ahimè, non ho idea di che fine abbia fatto fare al libro della McGuire. Sì, ce l'ho in cartaceo, esatto. È stato un regalo, con tanto di borsetta Garzanti, che mi è stato fatto lo scorso anno al Salone Internazionale del Libro di Torino. Un regalo per scherzare, ovviamente. Cioè quella persona sapeva che se me lo avesse regalato sul serio sarebbe morta male, ecco. 
Comunque al momento i miei libri, per metà, sono ancora collocati in soffitta poiché non ho trovato l'ordine esatto con cui voglio sistemare la libreria. Probabilmente quel capolavoro sarà ancora lì, nello scatolone insieme a dei libri belli. Chissà come loro, i libri belli, stiano prendendo questa prolungata convivenza.
Detto ciò, oggi condividerò altri due incipit e mi auguro di cominciare a regalarvi grandissime belle recensioni dalla settimana prossima. Non vedo già l'ora! Ho caricato tutto sul kindle, il libro della scorsa settimana ce l'ho in lingua originale, quindi magari inizio proprio da quello. Chissà.
Si prospetta un bel periodo pieno di cose da fare, ma io non demordo. Ce la farò, soprattutto a trovare il coraggio di leggere la tizia della famosissima Trilogia della cera. Mi piacerebbe però che questa fosse una rubrica più interattiva. Perché non mi proponete qualche bel libro brutto da leggere? Sotto nei commenti, intendo. Su, non lasciatevi intimidire! 
Mentre voi ci pensate, vediamo gli incipit dei libri di oggi.

Il primo libro di cui voglio parlarvi è Guida rapida agli addii di Anne Tyler, pubblicato nel 2012 da Guanda nella traduzione di Laura Pignatti. Confesso, ma in molti lo sapranno già: adoro Anne Tyler. Non capisco perché in Italia sia considerata quanto le caselle azzurrine del Monopoli (cioè niente), perché io la trovo fantastica. Il suo modo di narrare le vicende, sempre con garbo e dolcezza, sembra quasi che te la stia raccontando a voce, la storia. Tutti i suoi libri mi scaldano il cuore, mi riappacificano con il mondo, mi trasmettono un senso di tranquillità che è difficile descrivere.
Guida rapida agli addii è la storia di Aaron che, a seguito di un brutto incidente, rimane vedovo e, dopo qualche tempo, comincia a ricevere le visite della moglie defunta, Dorothy. Detto così so per certo che sembra un libro che trasmette angoscia, ma posso assicurarvi che niente è più lontano dal vero. Anne Tyler ha questa grandiosa capacità, quella di avvolgerti completamente nella storia che sta narrando. Lei è il mio porto sicuro, la persona alla quale mi rivolgo quando ho un po' di tristezza nel cuore, perché ogni suoi libro è per me un caldo abbraccio.

1

"La cosa più sorprendente, quando mia moglie tornava dal regno dei morti, era la reazione degli altri. 
Per esempio un pomeriggio, all'inizio della primavera, stavamo facendo una passeggiata in Belvedere Square quando incrociammo il nostro vecchio vicino di casa Jim Rust. «Che sorpresa» mi disse. «Aaron!» Poi scorse Dorothy al mio fianco. Lei lo guardava da sotto in su, proteggendosi dal sole. Jim sgranò gli occhi e si girò di nuovo verso di me. 
Gli dissi: «Come va, Jim?»

Lui cercò chiaramente di darsi un contengo. «Oh... benissimo» disse. «Cioè... voglio dire... certo che ci manchi. Il quartiere non è più lo stesso senza di te!»
Era concentrato solo su di me, e più precisamente sulla mia bocca, come se fossi io quello che stava parlando. Non guardava Dorothy. Si era girato di qualche centimetro per escluderla dalla visuale. 
Mi fece pena. Dissi: «Be', salutami tutti, allora» e proseguimmo. Al mio fianco Dorothy sbottò in una delle sue risatine asciutte.

Altri fingevano di non riconoscere nessuno dei due. Appena ci vedevano da lontano, la loro espressione si alterava di scatto e all'improvviso svoltavano in una via secondaria, tutti indaffarati, un sacco di cose da fare, tanti pensieri per la testa. Io non gliene facevo una colpa. Sapevo bene che nn era facile abituarsi all'idea. Al loro posto forse mi sarei comportato allo stesso modo. Mi piace pensare di no, ma è senz'altro possibile.

Invece mi facevano ridere quelli che si erano dimenticati che fosse morta. Certo, non più di due o tre persone, gente che ci conosceva solo di sfuggita. Una volta, mentre ero in fila allo sportello in banca, fummo avvisati dal signor von Sant, l'impiegato che diversi anni prima aveva seguito la pratica per il nostro mutuo. Stava attraversando l'atrio, si fermò e disse: «E allora, ve la state ancora godendo la vostra casa?»
«Oh, sì» gli dissi.
Giusto per non complicare le cose.

Immaginai come si sarebbe sentito dopo qualche minuto, ricordandosene. «Ehi, un momento!» avrebbe detto fra sé mentre tornava a sedersi alla sua scrivania. «Non avevo sentito che...?»
O forse aveva in testa tutt'altro, e magari non aveva nemmeno sentito la notizia. Avrebbe continuato in eterno a pensare che la casa fosse ancora intatta e Dororthy ancora viva, e che noi due fossimo ancora felicemente sposati, una coppia normalissima."

martedì 29 marzo 2016

Photoshop non ti conosco, obbrobrio non ti temo, Paint ti amo 29 marzo – 3 aprile



Buongiorno bellezze!
Sì, oggi è martedì ma ieri nessuno avrebbe letto il mio post, troppo intenti com'eravate a mangiare. Io niente, manco ho mangiato in queste feste perché il fato ha voluto che venissi presa da un attacco di gastrite di quelli potenti. Per cui vi lascio immaginare i miei cocktail di plasil, lansoprazolo e fermenti lattici. Una roba che, credetemi, il cioccolato a confronto non è nulla.
Inutile dire che quando mi rimetterò starò lì a rosicchiare pure le gambe dei tavoli, per riprendermi dallo shock.
Ma veniamo a noi e alle uscite di questa settimana. Quanta roba bella ci sarà?! Poca, in effetti, potevano impegnarsi di più.

Non so se anche a voi, ma a me questa copertina pare il frame di una brutta puntata di Mr Bean. 
Lui è chiaramente Mr Bean o comunque gli ha rubato il vestito. No, sono convinta che sia lui perché, gente, ma uno sano di mente si vestirebbe come Mr Bean coscientemente? Con gli stessi pantaloni tristemente corti? Secondo me neanche nei negozi trovi questi vestiti da uomo, proprio no. Ergo è Mr Bean.
Lei con il vestito da "wannabe Trilly", ma non te vergogni? A 108 anni con il vestito che le ragazzine usano alle feste a tema?! Te lo meriti Mr Bean, te lo meriti proprio.
Le cose più belle in assoluto, comunque, sono: il completo disinteresse per il pericolo imminente di annegamento (passa un gabbiano di quelli che stanno qui a Roma e poi vediamo voi coi palloncini dove andate) e la totale assenza di ombre. 
Le basi, santo cielo, le basi. Le ombre fanno parte pure del programma di educazione artistica alle medie, come si fa a dimenticarle? Io boh. 
La scheda comunque ci dice che questa è la storia di Pedro, che sta in treno e a un tratto il sole illumina la ragazza che gli sta di fronte e lui si innamora. Perché, voi non lo sapete, ma c'è questa cosa nei treni che scherma la luce. Se il sole non illumina esattamente una persona, voi non la vedete. Praticamente il vagone è sempre al buio, capito? E a turno il sole decide chi mostrare. E se piove? Se piove niente, viaggiate al buio e non rompete i maroni. In metro invece, dove il sole non può arrivare, comandano le tenebre. C'è una lotta continua tra il bene e l'oscurità proprio alla stazione di Piramide, dove la metro B arriva in superficie. Una lotta senza eguali che va avanti almeno dal 1955.

È pure inutile, in fondo, infierire sui libri su Jessica Fletcher, no? Che vuoi dire su questi copia incolla maldestri, nei quali il grafico cambia solo lo sfondo e il colore dei vestiti? 
Perché non è possibile prendere un'altra foto – migliore già che ci siamo, dove lei magari non c'ha i capelli di una strana gradazione rosa – della nostra Jessica?
No, è il format che è così: foto orrenda di Jessica, sempre la stessa, e sfondo di cartone che cambia come nei peggiori fotomontaggi delle telenovele sudamericane.
Anche le storie si svolgono sempre nello stesso identico modo – mi domando perché la gente dovrebbe leggere i libri, ma va bene comunque. Dice la scheda: il ristorante Fin & Claw è il ristorante preferito di Jessica Fletcher. E, dato che la signora Fletcher porta sfiga, che succede? Che proprio vicino al Fin & Claw apre un altro ristorante, il cui proprietario è lo chef Pepe. E poi niente, gira che ti rigira, ce scappa il morto. Come sempre. 
Non so come è possibile passare dalla lasagna bolognesa (come la chiamano in America) al morto ammazzato, ma la Signora in Giallo è specializzata nel far morire la gente. Arriva lei e taaac, genocidio.
Comunque non so se il romanzo è ambientato in Islanda, data la scelta dello sfondo, la scheda questo non ce lo dice. Io, però, dico che quel giallo a Jessica non dona per niente. Così, per dire.

Bastaaaa, basta! Anna Todd, ma quante diavolo di cagate hai scritto? Questo è Before, il prologo di After
Dopo ci sarà Trapassat? L'epilogo di After? Basta, per favore. Non credevo che da una storia idiota potessero uscir fuori 100 libri. La storia di due deficienti di 14 anni che stanno insieme ma anche no, totale pagine scritte: mille. Ma seriamente? E non succede niente, se non che lei lo ama ma lui no, lui la ama ma lei no, poi struciamento, poi lite, poi tradimento. 
D'altronde però di Beautiful sono arrivati alla milionesima puntata, sai quanti altri libri ci toccheranno di questa schifezza?
La copertina. La copertina. La copertina boh. Che vi devo dire, gente. Non si può commentare neanche, è di una bruttezza così incredibile che resto senza parole. 
Questo giallino volevo esse seppia e invece so' giallo bile, questa angolazione, il polpaccio da podista di lei in primo piano.
Tra l'altro lei sta facendo un lavoro di addominali niente male per stare in quella posizione, complimenti vivissimi da me e anche dal mio girovita.
Vediamo la scheda, per favore. Prima che Hardin incontrasse Tessa, nella vita c'aveva solo un vuoto immenso ('sti 12enni con questa vita struggente, mah, io a 12 anni giocavo a nascondino con gli amici miei e stavo tanto bene). Dopo il loro incontro, comunque, c'è stato solo amore infinito, perché lui ha capito che senza di lei non avrebbe mai più potuto fare niente, manco allacciarsi le scarpe.
Ma l'amore tra loro due... Aooooo' non c'avete manco 14 anni, maledetti!, quale amore?! Lei ancora deve realizzare che ha i peli sulle gambe e a lui è passato l'altro ieri il sudore acido tipico dei maschi in età puberale. Basta, per favore, non ce la faccio a immaginare due idioti con la nìurura, i capelli unti, un principio di peli nelle parti basse e i brufoli che cercando di approcciarsi, molto goffamente, al sesso. Me fa schifo seriamente.


Per oggi è tutto, per fortuna. Al prossimo lunedì e nel frattempo, mi raccomando, occhio alle tenebre e ai gabbiani!

venerdì 25 marzo 2016

So classy! #2 Ragione e sentimento di Jane Austen


È finalmente giunto il momento della seconda puntata di So classy!. Sembrano passati solo un paio di giorni dalla prima puntata, dedicata a Cime tempestose di Emily Brontë, e invece è già passato un mese. Sono più emozionata io di voi, credetemi (anche ovviamente direi, essendo io dotata di una consistente dose di ansia da prestazione).
È successo sia la scorsa volta che questa: succede io legga sui mezzi di trasporto e succede che la gente (uomini), non so perché, poi cerchi il libro che sto leggendo su Wikipedia. Ora, gente, Cime tempestose e Ragione e sentimento sono due classici non proprio misconosciuti, perché li cercate su Wikipedia? E, soprattutto, perché non vi portate un libro sui mezzi pubblici piuttosto che googlare quello che sto leggendo io? Misteri.

Mi preme ricordarvi, qualora non abbiate letto ancora il libro, di non procedere con la lettura del post perché ci saranno spoiler e magari saranno anche tanti – questo al momento non posso saperlo con esattezza perché scrivo queste cose di getto, non sono programmate.
Siete ancora in tempo per riprendere in mano Ragione e sentimento e rileggerlo, per poi tornare qui a parlarne con me. No, non vale la scusa "ho visto il film l'altro ieri", chiaro?
Non so perché ma a questo punto divento sempre aggressiva, sarà l'immaginetta degli spoiler (doverosa) che mi fa passare al lato oscuro.

Ma basta con l'introduzione chilometrica, passiamo alle cose serie e cioè a Ragione e sentimento.


È stata dura, molto dura, cercare di capire in che termini avrei potuto parlare di Ragione e sentimento. Gli spunti sono tanti ma anche così pochi. Avevo pensato di concentrarmi sulle figure maschili e di parlarne bene e male contemporaneamente, ma no. Non era abbastanza, mi sembrava di non rendere giustizia al romanzo.
Ho pensato poi di concentrarmi su Marianne, la piccola e ingenua Marianne. Ma, anche qui, mi sembrava troppo poco, mi sentivo come se fosse un argomento troppo poco incisivo. E così, mi sono detta, che argomento posso scegliere che mi aiuti a parlare a vanvera per circa mezz'ora? 
E poi l'ho trovato. Senza pensarci troppo, senza neanche effettivamente pensarci neanche un po'. Mi è balenato nel cervello così, senza preavviso: il maschio alfa.

La prima riflessione sul maschio alfa mi è venuta in mente quando, più o meno all'interno di uno dei primi capitoli, Marianne dice alla madre, la signora Dashwood: «[...] Mamma, più conosco il mondo, e più mi convinco che non troverò mai un uomo vagamente degno d'esser amato».
Quanta verità in queste parole, Marianne, quanta verità! Peccato che, purtroppo, al primo sguardo tenebroso lanciato da quello stronzo di Willoughby tu ti sia fatta fregare. 
Perché, vedi Marianne, è sempre così. Proprio colui il quale non è neanche vagamente degno d'essere amato finisce sempre col guadagnare il nostro amore. E non si può ridurre tutto solo alla questione di bad boy e non bad boy. Poi a me il solo appellativo fa andare il sangue al cervello, figurarsi se sto qui a parlare di bad boy. No, tutto è molto più profondo di così.

Il motivo di tutto questo temo che debba ricercarsi nella parte del nostro DNA che ci viene fornito dalla nostra appartenenza al regno animale. 
Prendiamo a esempio un branco: la femmina fertile del branco è attratta dal maschio alfa, tant'è che, in alcune specie animali, il suddetto maschio alfa ha l'eslcusiva sessuale sulle femmine fertili e recettive.
Le caratteristiche del maschio alfa, che spesso e volentieri appartiene al segno zodiacale dell'Ariete (e questa è un'informazione aggiuntiva di cui mi prendo tutto il merito), è carismatico, sicuro di sé, intelligente, astuto, un leader nato. È praticamente impossibile per una femmina non notare queste caratteristiche soprattutto perché, nel branco, è importante essere la compagna di un maschio alfa: al maschio alfa si sottomettono tutti gli altri, garantisce protezione sia alla femmina che ai propri cuccioli, vince sempre in guerra, protegge il territorio da eventuali attacchi. Piscia anche sulle proprie cose per marcare il territorio, ma questi sono comportamenti che, per fortuna, gli esseri umani non adottano più.

giovedì 24 marzo 2016

Recensione Girl runner

Finalmente riesco a postare questa recensione che avrebbe dovuto essere pubblicata la settimana scorsa, settimana in cui io ero in vacanza – che poi, in realtà, non era poi tanto una vacanza – e priva di strumenti tecnologici.
Oggi vi parlo di un romanzo che mi ha piacevolmente colpita e coinvolta, un romanzo uscito in libreria da qualche settimana, pubblicato da Sonzogno. Si tratta di Girl runner di Carrie Snyder, tradotto da Gioia Guerzoni e che mi è piaciuto così tanto, ma così tanto, che io boh. Per me la recensione potrebbe concludersi così. Invece no, ci provo a spiegarvi perché mi è piaciuto tanto. Ma tanto tanto tanto.

Titolo: Girl runner
Autore: Carrie Snyder
Editore: Sonzogno
Traduttore: Gioia Guerzoni
Pagine: 288
Prezzo: 16,50 €
Il mio voto: 5 piume

Trama

Girl runner, la ragazza che correva, si chiama Aganetha Smart e, nel 1928, conquistò la medaglia d'oro per il Canada alle Olimpiadi di Amsterdam. Ma chi si ricorda più di lei e della sua gloria passata, ora che vive sola e abbandonata in una casa per anziani? Eppure, un giorno, la sua tranquilla routine viene interrotta dalla visita di un ragazzo e una ragazza, desiderosi - almeno così dicono - di farsi raccontare la sua storia e girare un documentario sulle sue imprese sportive. Con il corpo debole ma la mente pronta a un'ultima avventura, Aganetha si lascia così caricare in auto e trascinare via. Man mano che il viaggio la conduce verso i luoghi della sua infanzia, nelle brumose campagne dell'Ontario, i ricordi di Aggie (come la chiamavano affettuosamente in famiglia) invadono la scena, si accavallano, raccontando una vita movimentata e intensa. I numerosi personaggi del suo lontano passato tornano così a esistere, più presenti dei vivi che la circondano: c'è Aganetha bambina e poi adolescente che, insieme alle sorelle, impara a conoscere il mondo dei grandi; c'è la Prima guerra mondiale, che si porta via tanti giovani; c'è la scoperta del talento atletico e quell'allenatore che eccita la sua voglia di primeggiare; ci sono i tormenti dell'amicizia femminile e poi quelli del primo amore; infine c'è la donna adulta, alle prese con scelte di vita che non sempre si collocano nel solco della propria epoca. Oltre a una trama ricca di colpi di scena, è la voce narrante di Aganetha a sedurre e ipnotizzare il lettore, con le sue emozioni, la sua forza d'animo e quella speciale generosità che la porta a entrare in contatto con persone molto diverse da lei. Solo quando il suo viaggio si avvia alla conclusione, Aggie scopre che i due giovani che sono venuti a cercarla non sono quel che dicono di essere, e conoscono un segreto che lei non ha mai rivelato a nessuno.

La recensione

«Se credi di essere stata ferita, poi capisci che il dolore è superficiale. E se ne è già andato. Si chiama guarigione, la riconosco da come corro. Sotto ogni strato di dolore c'è uno strato di guarigione in attesa, la verità dolce, sempre sorprendente, della resistenza».

Girl runner non poteva non piacermi, era praticamente impossibile che mi risultasse indifferente. Io non corro, è vero, e non potrei mai correre perché, semplicemente, sono la persona più pigra al mondo. Ma so cosa vuol dire affrontare le emozioni in un certo modo, affrontarle con tutto il corpo, investendole e passandoci attraverso.

Aganetha, protagonista di questo romanzo, corre. Corre perché non sa vivere altrimenti. Corre così velocemente da superare i coetanei di sesso maschile. Corre per fuggire a tutto ciò che non le piace. Corre senza meta e lo fa per dimenticare. Corre per guarire. Corre per reagire quando tutto sembra andare per il verso sbagliato. 
Io non corro, ma cammino. Cammino senza meta per chilometri e chilometri senza fermarmi mai, con l'unico obiettivo di svuotarmi dalle emozioni negative. Cammino con la pioggia, con il vento tagliente sul viso, con il caldo afoso. 
Questo è l'unico modo che conosco per guarire completamente, ed è proprio vero ciò che dice Aganetha: la guarigione la riconosci mentre stai correndo (o camminando). Sotto ogni strato di dolore c'è uno strato di guarigione in attesa e l'unico modo che Aganetha conosce per farlo uscire fuori è correre.

È il 1928. Le donne, per la prima volta nella storia, sono ammesse a competere nelle gare di atletica leggera alle Olimpiadi di Amsterdam. Molte saranno le ragazze che, durante la IX Olimpiade, si aggiudicheranno una medaglia per diverse discipline e una tra tutte sarà proprio Aganetha, medaglia d'oro per il Canada.  
Un oro che sarà fonte di gioie, tantissime gioie, ma anche di immensi dolori. Perché Aggie, questo il soprannome con cui i famigliari la chiamano affettuosamente, non è che una ragazzina qualunque, cresciuta in una fattoria dell'Ontario con una famiglia complicata alle spalle. 
Una madre spesso un po' scostante, un padre affettuoso ma distante, un rapporto controverso con i fratelli e le sorelle, soprattutto con la sorellastra Edith.

mercoledì 23 marzo 2016

Questione di incipit #3



È una settimana un po' strana. Sono tornata dalla Spagna e sono ancora lì, con il cervello. È un periodo di grandi riflessioni, questo, e sarà anche un periodo di cambiamenti. Cambiamenti radicali e non, nella mia vita privata e nella mia vita di blogger. Intanto mi iscrivo nuovamente in palestra e inizierò un corso di spagnolo a breve, che mi sembrano due cose sagge. E poi ho intenzione anche di darmi ai video, seppure io non abbia niente di interessante da dire a nessuno. Certo, lammèrda in libreria è sempre in agguato, ma dovrei inventare un altro modo per proporvela e non so se mi viene in mente qualcosa di interessante. Mai stata una tizia creativa io, quindi è difficile. Vedremo, magari vengo ispirata. Oppure posso semplicemente trasformare Francamente me ne infischio in qualcosa di diverso. Che dite?
In tutto questo c'ho una fila di libri da leggere che io boh, non so mica se ce la farò mai eh. Va bene che sono inutili dettagli perché pare che io sia di nuovo a spasso (non che non sia abituata a lavorare per 3 mesi e poi nulla cosmico per un anno) e quindi avrò un sacco di tempo per dedicarmi alle serie tv e ai libri arretrati. E anche per dedicarmi alle fantastiche trilogie di libri tutti con gli stessi titoli. Contenti? Io sì, in fondo. Perché il nemico è bene conoscerlo. E poi perché, comunque, è bene anche specializzarsi in un genere preciso. I libri per adolescenti sono importanti, l'ho sempre detto. Magari tra tutti quelli presentati con delle copertine del cacchio ce ne sta qualcuno che non è proprio da buttare (questa ricerca durerà degli anni, me lo sento).

Ma basta parlare dei fatti propri, veniamo agli incipit di questa settimana!

Il primo incipit di cui vi parlo è tratto da La straordinaria tristezza del leopardo delle nevi di Joca Reiners Terron. Non ho mai letto nulla di autori sudamericani, mai mai mai. Lo so, è certamente un handicap, ma il fatto è che credo di essere più affine alla letteratura americana. Questo, però, non mi impedisce (affatto) di provare una certa curiosità per questo romanzo e adesso capirete perché.
La straordinaria tristezza del leopardo delle nevi (traduzione di Vincenzo Barca e Serena Magi) è la storia di un quarantenne che soffre di insonnia e di giorno lavora all'emporio della sua famiglia mentre di notte fa il dattilografo in un commissariato.
In commissariato viene a conoscenza del "caso del Nocturama" che vede coinvolti: la Sig. X, infermiera specializzata, un tassista che alleva rottweiler e il leopardo delle nevi.
Lo so, sembra un romanzo strano. E infatti lo è, strano intendo, ma non in senso negativo, anzi. Sicuro è, però, che non posso leggerlo sull'autobus perché poi va a finire che guardo con occhio sospetto chiunque mi circondi. No, questo ce lo finiamo a casa, tanto si tratta di poche pagine, lo si beve in un attimo. Sì, La straordinaria tristezza del leopardo delle nevi, il libro più bevuto nei peggiori bar di Caracas. O del Quartiere delle Valli a Roma, decidete voi.

1. Il dattilografo:
Abitudini notturne

Non dormo da due settimane. Ma neanche prima dormivo molto bene. Fino ad allora, finché non ho smesso del tutto, ogni mattina preparavo la colazione subito prima che mio padre aprisse gli occhi. Poi andavamo insieme al lavoro. Ogni giorno era lo stesso giorno. Dalla fine del turno di notte in commissariato all'inizio della mattina rimanevano due o tre ore durante le quali nuotavo tra le lenzuola, affondando senza riuscire a raggiungere l'altra sponda. Dopo, in negozio, mentre mio padre si sistemava sulla sedia dietro la cassa, lo stesso posto degli ultimi sessantacinque anni, io, mezzo in catalessi, davo indicazioni al nostro unico impiegato sulla disposizione degli articoli, le nuove marcature dei pezzi e le restanti mansioni. 

Il boliviano – era il ragazzo di sempre o uno nuovo? – strappava lentamente le etichette dei pacchi di bagel, varenyki, challah, molto lentamente; c'erano o no le batterie nell'orologio a muro? Le lancette sembravano immobili, troppo silenziose, le palpebre mi pesavano, avanzavano spazio sugli scaffali e minuti tra le lancette. 
Gli affari non andavano bene. Attraverso lo spiraglio d'ombra tra le lattine di olio di sesamo, là in fondo, mi osservavano un paio di occhi.

Dopodiché di solito non parlavo con nessuno, fatta eccezione per le telefonate dei creditori sempre più frequenti, e nel pomeriggio accompagnavo mio padre a scambiare quattro chiacchiere in yiddish con un cliente vecchio almeno quanto lui, il suo amico Glass, un altro sopravvissuto alle riunioni dello Yugent Club nel palazzo della Zukunft.

lunedì 21 marzo 2016

Photoshop non ti conosco, obbrobrio non ti temo, Paint ti amo 21/27 marzo


Buongiorno!
Finalmente rieccomi qui, con un dispositivo più grosso di un telefono, per intrattenervi con lammèrda in libreria. È stata dura, la settimana scorsa, riuscire a scrivere un post interamente al telefono. Non tanto per i tastini delle lettere che, insomma, se ingrandisci riesci perfettamente a vedere cosa stai scrivendo, quanto piuttosto per tutto il resto che non funziona da mobile. Cioè, per cercare di mettere qualcosa in "centrato", non avete idea delle imprecazioni che ho lanciato.
E niente, il discorso è che qualcuno non voleva che andassi a Barcellona evidentemente – forse un fan accanito di So classy! – e così alla fine ho trovato un tempo orrorifico, me so' raffreddata e al mio amico è imploso il computer, quindi non abbiamo potuto usarlo nessuno dei due.
Tocca che mi faccia un iPad, ho capito, ho capito. E mo' se mi pagano il mese di febbraio – sì, tralasciamo i commenti – me ce lo faccio.
Che poi ieri sono stata pure punita moltissimo perché sono stata in aeroporto dalle 14,45 alle 19, visto che siamo partiti in super ritardissimo. Cominciavo a rassegnarmi all'idea di dormire sulle sedie in finta pelle di brontosauro de El Prat. Alla fine sono riuscita a tornare, provata, affamata, coi capelli che rappresentavano il peggior incubo dei parrucchieri e un viaggio veramente del cactus (con una tizia improbabile accanto che sembrava la Cortellesi che imita la Prestigiacomo).
Ma basta, basta parlare e cinciallegrare di idiozie. Passiamo alle cose serie, passiamo alle uscite di questa settimana!

La ragazza qui accanto sarà senza passato ma è pure senza un sacco di cose. Non lo so, tanto per cominciare mi sembra sicuramente senza girovita e senza collo, però ha un sacco di altre cose eh: i capelli tentacolari (??), i polpacci che neanche Totti, l'impermeabile di vera finta plastica e una falcata un attimo (ma un attimino proprio) rigida.
Ma il motivo di tutto questo è che la nostra Zoë, insieme con la sua amica Holli, è stata rapita durante un viaggio ludico e goliardico che stava facendo a Las Vegas. Il rapitore è un super killer, uno di quelli che ao' cioè io so' io e voi nun siete un cazzo che passa il suo tempo a marchiare laggente.
Zoë riesce a scappare ma Holli no. Anni dopo, quando il killer – e presumo neanche Holli – non è stato ancora ritrovato, Zoë si imbatte in un caso della polizia simile al suo e collabora con le indagini – non mi chiedete in che modo, perché in America non è che te presenti in polizia e collabori come niente fosse, proprio no. Ma è vero pure che io non mi chiamo Zoë e quindi magari per le Zoë funziona diversamente. Saranno i polpacci calcistici, che ve devo dì.
Insomma, fatto sta che durante le indagini lei scopre che il killer che marchia laggente non ha smesso di aspettarla, forse in memoria delle acconciature tentacolari, e il tempo ha aumentato il suo malumore (eh, l'andropausa... Lo fa, lo fa. Succede che un giorno sei giovane e il giorno dopo, con lo scompenso ormale, sei un vecchio scorbutico) e la sua sete di vendetta (che dipende, ovviamente, sempre dall'adropausa). Non so perché in copertina lei cammina in un posto che tutto me pare meno che Las Vegas, soprattutto per il clima (cioè, a Las Vegas ce stanno 90 grandi all'ombra e il tasso di umidità del 150%, con l'impermeabile di vera finta plastica ti prendono fuoco le ascelle eh, ma cioè, chi so' io per parlare di moda? Vi scrivo indossando una maglia nera coi cigni rosa, ergo...), ma forse non è il caso di farsi troppe domande. Nel senso che potrebbe essere una tattica sopraffina per far sì che il killer che marchia laggente senta la puzza del suo sudore e si palesi tra gli alberi. Va' a sapè che tecniche c'hanno i Ris al giorno d'oggi.
Un thriller che boh, cioè, se non lo comprate c'avrete i un polipo in testa per il resto dei vostri giorni! Ah, la scheda qui.

Questa copertina è vera. Ripetete con me: questa copertina è vera. Non è il frame di un video di merda di Vasco Rossi e no, non è la locandina del nuovo album della Pausini. 
Io veramente non capisco come si possa prima fare la grafica per i test di Cioè e poi utilizzare le immagini rimanenti per fare le copertine dei libri. Capisco tutto: il target, il tipo di storia, il tipo di prodotto. Veramente, capisco sul serio tutto. Però la shatteria no. Eddai, ma te pare che metti in copertina la foto di una tizia sdraiata su un tappeto anni '70? Ma che è? Ma è nuda poi per caso? Vabbè, me vengono in mente certi scenari così tremendamente tristi che manco ce voglio pensà.
Il font non si commenta. Seriamente, non me la sento di dire nulla sulla scelta di scrivere metà titolo fucsia e metà bianco. 
Però una cosa devo dirla: gioia, se è un cd normale state insieme per circa un'oretta, non mi sembra un tempo molto lungo. 
Per carità, meglio per certi versi, tipo se lui è il tipo da jeans stretto e mocassino senza calzini a 'sto punto te credo che je dici: "resta con me fino all'ultima canzone poi, per favore, vatte a comprà un paio de scarpe che tesò con queste nun te se po' guardà". 
La scheda comunque dice che questa è la storia di Elise, che per sedici anni è stata trattata male da chiunque e non s'è fatta amici, ma adesso ha deciso di cambiare (eh, je l'amo fatta Elì a capì che magari andare in giro con dei cespugli al posto delle sopracciglia e i baffi a cui puoi fare le treccine non ti faceva apparire simpatica a nessuno). Così per tutta l'estate ha osservato le ragazze più popolari della scuola (ecco, loro magari non hanno le basette) per imitarle ma niente, i suoi sforzi non vengono notati da nessuno. Sull'orlo della depressione, una sera si imbatte in un locale underground e da lì tutto cambia: amici, musica bellissimissima, ipotetico fidanzato. Ma che libro è? Io boh. La quarta te racconta pure la fine, che razza di senso c'ha leggerselo?

Sarà che sono stanca, sarà che ho dormito poco perché la mia vicina ci teneva a svegliarmi presto stamattina per sapere se ero tornata, sarà che sono mezza raffreddata ma ho davvero rischiato il conato di vomito con questa copertina.
I piccioni fanno schifo. E questo è un dato di fatto noto anche agli esponenti integralisti della Lipu, siamo d'accordo tutti. Ruzzolano tra la spazzatura, mangiano schifezze, cagano su qualunque cosa e la rovinano, si muovono in gruppi e ogni volta che sbattono le ali in quei loro finti voli da gallina sollevano lo sporco di Roma che manco fossimo a Bombay e me fanno venì la congiuntivite. 
Il piccione di Roma, poi, è pure coatto. È diventato il classico tassista panzone che sembra uscito da un film di Verdone. Il piccione, qui, non vola più. Cammina, attraversa sulle strisce (true story), neanche si scansa quando passi te, praticamente manca solo che quando cerchi di passargli in mezzo perché, santo cielo, devi proprio andare di là, il gruppo ti guardi male e il capo-piccione ti dica "Cazzo vòi? Nun vedi che stamo a magnà? Fai er giro lungo!".
Pure le piume dei piccioni fanno schifo, tant'è che non mi sognerei mai di tenerne una a casa, figuriamoci due. Ma a parte poi che il fatto che quella cosa sia stata conficcata nella pelle di un piccione veramente mi fa venì gli incubi, oltre il terrore che dopo aver preso in mano quelle cose schifose l'unica altra cosa che vedrò in vita mia è il reparto malattie infettive. Concentriamoci su un'altra cosa prima che mi si ripresenti il conato. La scheda dice che Bianca, assistente di volo, prima di incrociare James era una persona tutta d'un pezzo: cioè, camminava sui tacchi alti portando champagne a 10.000 metri d'altezza e quindi, mica poteva trovare attraente un uomo. Eeeh? Mo' una hostess non può pensare che un uomo sia un fregno da paura solo perché porta champagne alla business class? Niente, diventi hostess e te passano pure la cecità compresa nell'uniforme. Varrà pure per gli steward? La prossima volta domando al banco check in di Ryanair, che so' quelli con l'uniforme più brutta ever, quindi mi sembrano proprio i tipi che potrebbero avere compresa nel pacchetto pure la cecità (una persona che ci vede non si sognerebbe neanche di disegnarla un'uniforme come quella). Comunque, boh, niente, poi Bianca prova a resistere ma niente, non ce la fa e basta. Fine del libro. Nessuna pratica erotica coi piccioni, spero. Se lo leggete fatemi sapè.

Per questo lunedì purtroppo è tutto, vi auguro una settimana tentacolare!

mercoledì 16 marzo 2016

Questione di incipit #2


È già l'ora di Questione di incipit! Manco il tempo di capire che giorno è che devo già iniziare Uno splendido disastro e non so se sono pronta.
Però vabbè, qualcuno queste cose deve farle perché è giusto che io sappia esattamente che modello di uomo (e di donna!) va di moda in questi giorni. Già me sento antica perché cresciuta negli anni '80, se ci metto pure il confronto con le ragazzine è la fine.
Comunque, sempre perché c'è qualcuno che me la chiama (so chi sei e ti combatterò), sono senza dispositivo elettronico con il quale scrivere i post e sto quindi usando il mio cellulare. Scomodo (molto) e piccolo (moltissimo). Mi piacerebbe capire come ha fatto la Chiperi a scriverci quella cosa che lei chiama romanzo. O sei ipovedente o non se spiega. Ma poi è scomodo, rileggere è un super cacchio di problema, ve lo lascio solo immaginare. Per questo motivo temo dovrò rimandare la puntata di So classy! al prossimo venerdì. Vediamo, potrei anche farcela a scrivere dal telefono. Forse.
Anyway, andiamo alle cose serie e cioè l'incipit del romanzo che sto leggendo.

Eccolo qua il classico di cui vi parlerò in So classy!, si tratta di Ragione e sentimento di Jane Austen. Premetto che la traduzione della copia in mio possesso non è esattamente il massimo, preferivo quella di Feltrinelli, ma tant'è. Si tratta dell'edizione de La biblioteca romantica uscita in edicola per Fabbri un bel po' di anni fa con la traduzione di Beatrice Boffito Serra. Non è malvagia, attenzione, ma non mi soddisfa pienamente. La trama ve la accenno solamente, dato che anche i sassi conoscono questo romanzo. È la storia delle sorelle Dashwood, Elinor e Marianne, e delle loro avventure con il genere umano. Lo so, non è così che viene riportato sulle quarte, ma è davvero complicato riassumere i classici in un paio di righe. Comunque, dato che non è solo una storia d'amore ciò che viene raccontato nel libro, è forse meglio includere tutto il genere umano.

I

I Dashowood si erano stabiliti nel Sussex da molto tempo. La loro tenuta era grande, e al centro sorgeva Norland Park, dove numerose generazioni della famiglia erano vissute in modo tanto rispettabile da procacciarsi la stima di tutti nei dintorni.

L'ultimo proprietario, un vecchio scapolo giunto a tarda età, aveva trovato per molti anni nella propria sorella una compagna e una direttrice di casa. Ma la morte di lei, avvenuta dieci anni prima della sua, portò un gran cambiamento nella sua esistenza; poiché, per rimediare alla perdita subita, egli invitò ed accolse presso di sé la famiglia del nipote, Henry Dashwood, erede, legalmente, della tenuta di Norland, e proprio colui a cui era deciso di lasciarla alla sua morte.

Gli ultimi giorni del vecchio signore trascorsero sereni in compagnia di suo nipote, della moglie di questi e dei loro figlioli. Il suo affetto per tutti non fece che aumentare. La costante premura del signore e della signora Dashwood nell'eseguire ogni suo minimo desiderio, frutto non soltanto dell'interesse ma del buon cuore, gli forniva tutto il conforto possibile che alla sua età poteva ancora godere, e la gaiezza dei bambini aggiungeva alla sua esistenza una nota d'allegria.


lunedì 14 marzo 2016

Photoshop non ti conosco, obbrobrio non ti temo, Paint ti amo 14/20 marzo



Buogiorno e buon inizio settimana a tutti voi.
Scrivo questo post che è ancora domenica e ogni volta che accade mi sembro sempre un po' idiota ad augurarvi buongiorno quando, capito, qui da me so' le 4 di pomeriggio del giorno prima. Fa uno strano effetto, sembra un po' una sorta di viaggio nel tempo. Esperisco stati strani, scusate.
Oggi, mentre voi state assaporando il vostro caffè in casa (o in ufficio) e state decidendo se è bene rimanere in pigiama o vestirsi e affrontare il mondo o, nel caso siate in ufficio, state decidendo quanto è raccomandabile dall'ordine degli psicologi italiani uccidere il proprio capo, io sono in aereo, diretta a Barcellona. Ho dormito poco e male – come sempre prima di ogni partenza – e ho sicuramente dimenticato una cosa fondamentale a casa, sul letto. E me ne sono appena accorta. Succede sempre, anche quando devo andà al supermercato, figuriamoci in un'altra città.
Ma siccome che io sono una brava persona, non dico brava blogger perché potrei migliorare, non vi lascio da soli senza le uscite della settimana neanche quando emigro. E neanche quando mi accorgo di aver dimenticato una cosa fondamentale a casa. E quindi, eccoci qua, vediamo cosa potreste – se ve dice male – trovare in libreria questa settimana!

Nel caso in cui doveste imbattervi ne La bambina scomparsa ricordatevi che la prospettiva è solo n'opinione. Ricordatevi anche che tutto è sopravvalutato al mondo, pure la tridimensionalità.
Questo ponte, tutto sullo stesso piano e solo disegnato leggermente più piccolo in fondo, ne è la prova. Insomma, i nuovi artisti riproducono la prospettiva come la riprodurrei io, che so' una capra e non riesco a fà una linea dritta manco con la squadretta. Come fai a fà un viale alberato? Semplice, disegni alberi di dimensioni diverse, che domande! Te lo insegnano all'artistico.
Pure la fine arte del ritarglio e dell'appicco – si chiama proprio così, ce fanno i corsi all'accademia delle belle arti: "Teoria e tecnica del ritaglio e dell'appiccico dal Medioevo a oggi" – è cosa sopravvalutata. Perché non puoi ritagliare una bambina da una foto qualunque e appiccarla – male – su un bellissimo ponte bidimensionale dimenticando del tutto quella cosa inutile che è la prospettiva?! 'Nfatti, chi ti dice che non puoi farlo? Fallo, no?! 
E il nostro grafico lo fa. E crea 'sta cosa orrorifica. Con pure una luce strana. Vabbè, bando alle cose noiose come il corso in "Scienze e tecniche psicologico-sociali delle sovraccoperte ovvero come fà na cagata senza che nessuno se ne accorga", passiamo alla trama di questo thriller senza prospettive. Dice la scheda che la bambina in copertina, mi auguro con le scarpe almeno, scompare senza lasciare tracce e ricompare quattro anni dopo. Quando la polizia arresta un sospettato, la ragazzina – spero abbia almeno indossato un infradito nel frattempo – si rifiuta di testimoniare. Perché? Come mai Caitilin non vuole testimoniare contro quest'uomo? Cosa realmente è successo tra di loro? Dove è stata per questi quattro lunghissimi anni? Chi è questo tizio? È solito frequentare ponti di legno? Ma soprattutto, è scalzo anche lui? Temo che non avremo risposte alle nostre domande. La curiosità mi attanaglia, davvero.

Sbagliando si ama, dice Lauren Layne. Oppure, dice Nereia, torni a casa 'mbriachissima dal sabato sera, sbagli casa e dato che non riesci ad aprire la porta perché non è casa tua, t'abbiocchi nel giardino del vicino. Succede eh, cioè, mica no. 
Oppure, sempre sbagliando, uno pensa che sei un animale feroce tra i cespugli, mentre tu invece stai solo eliminando fisiologicamente la troppa birra che hai in corpo, e ti dà una mazzata che ti stende. Eh, tesoro mio, sbagliando si impara pure. Ma che, dico, lungo la strada non ti potevi fermare in un baretto a fà pipì? Dice la scheda che "se pensi che sia un errore, potrebbe essere quello giusto". E vabbè, io non giudico, ma non è piacevole fare pipì nei giardini degli altri quindi no, non potrebbe essere quello giusto, di giardino, solo perché casa del tuo vicino è giallina come la tua. Il numero civico, ragazzi, è più importante di qualunque impressione. Ma questo Brynn non lo sa. Lei va controcorrente. E quindi conosce Will Tatcher che, se non fosse che ormai alza il gomito un po' troppo spesso con 'sta scusa che l'erba del vicino è sempre più verde, è proprio uno di quei tipi che normalmente eviterebbe. Lui torna in città dopo tre anni e ha un'unica missione: vuole conquistare Brynn a tutti i costi e vuole convincerla che proprio l'uomo che lei non considera adatto a sé potrebbe essere il più bell'errore della sua vita. Gente, qui siamo al limite dello stalking. Ma se a Brynn non piaci, lasciala stà! Già ha dei problemi con l'alcolismo e con la violazione della proprietà privata, cerchiamo di non sparà sulla croce rossa. No, siccome lui è de coccio e c'ha una propensione – leggera eh, molto leggera – alla persecuzione come pratica errotica, deve convincerla che meglio di lui non c'è nessuno. Mi auguro che Brynn decida che il vicino merita di più, d'altronde abbiamo già appurato che c'ha un giardino più bello, quindi è sicuro un partito migliore. Comunque l'autrice ce se 'ntigna nell'errore e nelle protagoniste rincoglionite che sbagliano strade e giardini, dato che il romanzo precedente si chiama L'unico sbaglio che rifarei mille volte. Tesò, te però te le cerchi eh.

giovedì 10 marzo 2016

Questione di incipit #1


Buongiorno!
È giunta l'ora della prima puntata di Questione di incipit, nuova rubrica settimanale che verrà pubblicata ogni mercoledì. Lo so, lo so. Oggi è giovedì, c'avete ragione. Però non stavo nella pelle e quindi mi sono detta che in fondo non era un problema mostrarvela in anteprima, giusto? Giusto. Dopo oggi, comunque, ci si vede ogni mercoledì.
Che cosa è Questione di incipit? Ogni settimana vi riporterò l'incipit del libro che sto leggendo. Ovviamente, in questo, c'è qualcosa di bello solo se vi interessa il libro che sto leggendo. Magari, invece, non ve ne po' fregà di meno.
Ho così deciso di riportare due incipit. Certo, se non ve ne frega niente di uno, pensa di due! E invece no! Perché? Perché il primo incipit è del libro che sto leggendo e il secondo di uno di quei libri di cui vi parlo il lunedì appositamente scelto per essere letto e recensito. Ovviamente, oltre che all'identità dell'autrice, ha il suo peso nella scelta anche il tipo di incipit e cioè se questo presenta elementi che reputo interessanti dal punto di vista del trash. Voi lo sapete che nulla è normale da queste parti, quindi... Buona lettura!


Il libro che sto leggendo è Girl runner di Carrie Snyder nella traduzione di Gioia Guerzoni, oggi in libreria per Sonzogno. Leggendo la sinossi di questo romanzo, pubblicato in Canada nel 2014, ho subito provato una certa curiosità. Mi interessano i libri di un certo tipo, chi mi legge con una certa assiduità se ne sarà certamente accorto, e questo romanzo mi ha intrigata subito. Non per un reale interesse per lo sport, sono la persona più pigra al mondo, ma perché la vita di Aganetha Smart, medaglia d'oro alle olimpiadi del 1928, mi stuzzicava. Soprattutto perché, ultimamente, ho sviluppato questo interesse per i romanzi e i film (o le serie tv) ambientati durante i primi anni del '900. Aganetha racconta la sua storia a due ragazzi che, dopo averle fatto visita alla casa di cura in cui è ricoverata, le comunicano che sono intenzionati a girare un documentario su di lei. Aganetha, quindi, si ritrova a ripercorrere la sua carriera e la sua infanzia in Ontario.
Vi propongo l'incipit in anteprima, ditemi se incuriosisce anche voi!



Prologo
Canzone d'amore

Questa non è la canzone d'amore di Aganetha Smart.
No, e non parlatemi di stanchezza e di meritato riposo. 

Per tutta la vita non ho fatto altro che andare da qualche parte, mirando un punto fisso all'orizzonte che sembrava non avvicinarsi mai. All'inizio l'ho inseguito con abbandono, con fiducia, poi con una certa frustrazione, con dolore, e ancora più avanti con la lucidità di un'artista della fuga. Ormai è troppo tardi per fermarmi, anche se corro solo nella mente, per abitudine.
Fai quello che fai finché sei finito. Sei quello che sei finché non ci sei più. 

Mi chiamo Aganetha Smart e ho centoquattro anni. 
Non crediate che sia un vantaggio.
Sono sopravvissuta a tutte le persone che ho amato, e a tutte quelle che mi hanno amato. Non sono nemmeno invecchiata bene. Basta guardarmi.
Sono circondata da sconosciuti. Di giorno mi piazzano su una sedia a rotelle, in una stanza che sa di grasso di pollo e pannolini. Di notte vengo issata su un letto rigido e schiacciata da una coperta che puzza di ammoniaca. 

Questa routine dura da molto, troppo tempo. Sono un po' sorda – ma non quanto credono – e quasi cieca, quindi devo ammettere che la mia capacità descrittiva non è proprio al meglio. È del tutto possibile che io stia vivendo in una cattedrale di luce e che dorma in un letto a baldacchino, senza potermeli godere. Ma ho il sospetto che non sia così: il mio olfatto funziona perfettamente.
Per quanto riguarda il parlare, non sempre le frasi mi escono dalla bocca seguendo il mio comando. 

Faccio molta fatica a farmi capire. È tanto più facile biascicare pigramente una serie di parole sconnesse ma familiari, quelle che rimangono in attesa sulla punta della lingua, da usare in caso di emergenza o per le buone maniere: 
«Be', adesso, non saprei, ma perché...»
È una barriera, non fingo che sia diverso.

lunedì 7 marzo 2016

Photoshop non ti conosco, obbrobrio non ti temo, Paint ti amo 7/13 marzo




Buongiorno gente!
Oggi, purtroppo, non sarà un lunedì come tutti gli altri e me ne dispiaccio. Questa settimana, infatti, posso segnalarvi l'uscita di un unico nuovo libro. L'uscita di tutti gli altri, che avevo diligentemente appuntato nella mia agendina (ricordatemi di farmi controllare dal reparto di neuropsichiatria, per favore), è stata posticipata in massa al 17 marzo. Mi auguro che non vi saranno altri cambiamenti, così avremo una puntata bella ghiotta la prossima settiama. Parlo come parlerebbe mi nonna, bella ghiotta? Santo cielo.
Comunque, notizie sparse qua e là: la settimana prossima sarà impegnativa perché parto per Barcellona e starò via tutta la settimana. Ciò vuol dire che devo trovare un modo per stare comunque dietro al blog, perché parto con Ryanair e se mi porto il computer devo rinunciare al libro o alle mutande, dipende. E cioè, ma anche no? Non ho un iPad e sarebbe pure che il caso di comprarmene uno, quindi forse questa settimana faccio 'sta pazzia e potrò tranquillamente portarvi con me senza chiedere favori a nessuno. Certo, poi vado a mendicare per le strade e a rovistare nei cassoni, ma voglio dire, è pur sempre un'avventura, no? Vedremo.
Altra notizia: sto diventando una schifosa snob con i libri, non mi piace praticamente niente di tutto quello che piace al resto dell'umanità. Anzi, mi annoia a morte. Questo è un cacchio di problema, un super cacchio di problema. Detto ciò, allora, siete pronti per l'unica segnalazione della settimana? Via!

Voglio fare una petizione per C. D. Reiss: prima le faccio cambiare nome e poi chiedo giustizia per i suoi libri. Non è possibile che prima le abbiano affibbiato i manichini di cera per la serie delle note (boooooring!) e adesso la inducano a questa svolta horror trash che io boh.
Appena ho visto questa copertina, vi giuro, ho subito pensato a una cosa tipo:
"Lurch, hai visto Mano per caso?"
Non so se anche a voi viene in mente Lurch insieme a Mano o se sono io che ho dei problemi...
Di queste copertine, però, mi piace sempre che si cancelli tutto per non aver bisogno di lottare con proporzioni, piani, ombre, tridimensionalità. È un aspetto che ammiro questo, perché in fondo se sai solo usare Power Point, perché imbarcarti in robe che non sai affatto che so'? Eh, certo. Però famola meno inquietante la prossima volta (questo arancione Spritz, tra le altre cose, nun se po' guardà). Ma quello dentro al bicchiere cosa è? C'è in alto a destra una sbavatura che sembra una farfalla, un insetto, una cosa schifosa comunque. Forse era ghiaccio prima, che con Paint è stato diligentemente cancellato ma manco troppo bene. Eh, je se smarmellava l'arancione, quindi l'ha lasciato lì. Comunque tra Lurch, Mano e schifezze nel bicchiere, già immaginavo una svolta horror nella trama proposta dalla scheda, qualcosa tipo che lui la ama ma lei no e così lui compra una di quelle bambole gonfiabili e la personalizza e se la porta dietro, proprio come se fosse la lei in questione. Oppure lui è uno di quelli che conserva le mani delle precedenti amanti dentro al frezeer (non sai mai quali strade il feticismo ti fa percorrere)... E invece, gente, invece niente. È la storia di Michael che l'ultima volta che ha visto Laine, lei aveva 17 anni (vabbè, anche sticazzi, non è che era un'informazione importante, ma la scheda ce lo dice lo stesso). Poi niente, non si sono più visti e lui l'ha paragonata a tutte le altre donne che ha conosciuto in vita sua ma nessuna era come Laine/Mano. Laine/Mano non è una ragazza qualunque (e te pareva!), ma è dovuta crescere subito e affrontando la vita da sola (perché normalmente, invece, uno la propria vita la affronta in compagnia, tipo festa de paese, tutti a fà l'esame de statistica! Daje nonna, viè pure tu!). Lui pensava che tra loro potesse andare bene così e l'ha pensato – guarda caso! – quando l'ha presa per mano (io, ve ce lo dico, c'ha dei risvolti macabri 'sta storia che nella scheda non so' riportati, ma so' sicura che lui colleziona mani) ma poi niente, si vede che lei aveva le cuticole troppo spesse e quindi lui se ne è andato e la loro storia è finita così.  Neanche uno smalto Kiko per scusarsi. Niente. Du euro poi eh, 'sto pezzente.
Adesso, dopo tempo, vivono nella stessa città, nello stesso quartiere e percorrono vite parallele anche se lui l'ha vista ma non le ha parlato (sicuro lui bazzica le estetiste della zona e quelle che ricostruiscono le unghie, giusto perché non se sa mai), fino a quando una sera... Che succederà mai? Sicuro scopre che Laine/Mano s'è aperta un salone di bellezza e decide che è la donna sua, sai quante mani?

Per questa settimana, mi dispiace, ma è proprio tutto. Mi raccomando, prima di entrare dall'estetista assicuratevi che non ci sia Micheal dietro di voi. Buon lunedì e occhio alle vostre cuticole!

venerdì 4 marzo 2016

In my bookshelf #31


Buongiorno gente!
Risorgo dalla malattia come neanche i migliori Lazzaro nella storia dei Lazzaro. Dici, ce ne è stato uno solo. Siamo sicuri? Io non ci metterei la mano sul fuoco.
La malattia mi ha abbracciata – e per fortuna che m'ero vaccinata – e in realtà se non fosse per il cerchio alla testa che mi viene quando ho la febbra starei benino. E invece c'hai quel cerchio che non ti fa leggere, guardare lo schermo del pc, guardare un film o una serie tv, ma neanche a fare all'uncinetto o al punto croce (io ero capace solo a fare il secondo ma ho la pazienza di un neonato quindi andava a finire che bruciavo tutto, sia il telo di lino che il giornale che riportava il disegno).
Ragazzi, oggi mi sento una povera vecchia. Mi sono guardata allo specchio  e mi sono davvero sentita una vecchia: occhiali che neanche le talpe, occhietti spenti e gonfi oltre che cerchiati di rosso, capelli sconvolti, colorito emaciato. Insomma, un cesso.
E che cosa si può fare per stare meglio? Niente, cioè la cessitudine me la tengo, ma almeno faccio qualcosa di produttivo: vi faccio il riassunto del mese di Febbraio. Pure che non ve ne frega una beneamata fava.

Dunque, andiamo con ordine. Neri Pozza mi ha omaggiata, per la cosa del bookclub blablabla, di L'estate degli annegamenti di John Burnside, attualmente in lettura. Ho poi ricevuto in omaggio da Sonzogno La vita segreta e la strana morte della signorina Milne di Andrew Nicoll e che mi è piaciuto molto. Era proprio il romanzo di cui avevo bisogno in questo preciso momento. Sono un po' confusa, ultimamente, e ho bisogno di libri che non mi respingano. Mettiamoci pure che, stranamente, nonostante l'immensa mole di sòle lette lo scorso anno è praticamente un miracolo che io non soffra del blocco del lettore. Leggo di meno e più lentamente, questo sì, e proprio per questo vorrei buttarmi su romanzi che non reputo un'inutile perdita del mio tempo.
Ho ricevuto in regalo da Letture Sconclusionate – per una strana serie di eventi – Armandale di Wilkie Collins che non so, lo ammetto, quando leggerò. Però, se vi va, potete leggere la recensione che ha scritto Simona, magari l'avete letto anche voi o volete leggerlo e io non so che dirvi se non che "raga, ha 800 pagine e forse posso leggermelo tra un paio di mesi".
Ho acquistato qualcosa, non poco ma neanche troppo, sempre perché compro solo libri usati al mercatino e quindi che fai? Non te li compri? In ordine sparso: Qualcuno da amare di Barbara Pym e Troppo tardi, tesoro di Maggie Makepeace entrambi fuori catalogo. Voi lo sapete e se non lo sapete sapevatelo: ho una passione per i libri fuori catalogo. Non c'è alcun motivo specifico, è così e basta. Ho poi comprato, sempre perché sto diventando una fan del romanzo moderno – ironia – anche La scogliera di Edith Wharton e sono tutti e tre di quelle edizioni che tanto mi piacciono e che sarebbero La tartaruga. Poi, per bilanciare con la modernità, ho comprato Una famiglia americana di Joyce Carol Oates di cui non ho ancora letto nulla e non va bene per niente. Della Oates ho sempre sentito parlare bene ed è anche il caso che la smetta di leggere sempre e solo le stesse autrici americane.
A circa 2 euro ho acquistato La rivincita di Capablanca di Fabio Stassi, per nessun motivo in particolare e lo stesso criterio l'ho tranquillamente seguito per comprare, a esattamente 1 euro, Ogni cosa è segreta di Laura Lippman e Natura morta con briciole di Anna Quindlen (a breve fuori catalogo perché la casa editrice è fallita e ha una copertina deliziosa). Al momento, qualora vi steste domandando quanto diavolo spendo per i libri al mese, ci aggiriamo intorno ai 16 euro per la bellezza di 6 libri.