lunedì 31 ottobre 2016

Photoshop non ti conosco, obbrobrio non ti temo, Paint ti amo 31 ottobre – 6 novembre


Buongiorno!
In questi giorni sono tipo in mezzo a una tempesta ormonale e mi succedono cose che non riesco a controllare e, soprattutto, mi passa il tempo come fossi a bordo di una specie di macchina del tempo super veloce. Oggi è lunedì, domani già venerdì. Non capisco come sia possibile ma va bene così (cioè, anche no, ma che posso fà? Il rallenty nella vita reale non esiste, ahimè).
Cerco un modo per evitare che i giorni mi sfuggano di mano, suggerimenti? Trucchi? Atteggiamenti che voi mettete in atto? Tra l'altro, con la scusa della macchina del tempo super veloce, me se sporcano subito i capelli e fà lo shampoo è una delle cose che io ho sempre odiato, soprattutto a causa della mia incapacità di asciugarli in modo decente: ergo ho sempre dei capelli terrificanti. Per cui, ecco, 'sta cosa tocca risolverla che se c'avessi dei capelli orrendi ma non lavati un giorno sì e uno no starei meglio emotivamente, almeno lo shock della capigliatura obbrobriosa ma appena lavata non sarebbe ogni 36 ore circa. Insomma, se c'avete dei modi per evità tutto questo fateme un fischio.
Ma adesso andiamo a vedere cosa l'editoria ha in serbo per noi questa settimana, ché dei miei capelli abbiamo già parlato abbastanza.

Premesso che il tipo di inquadrature che mi fanno sentire una formica nel mondo degli umani non me so' mai piaciute, permesso che il verde bile dopo una serata brava tra fiumi di alcol è il colore più brutto ever che abbia mai visto e premesso anche che la gente in pigiama nei parchi mi fa sempre domandare se ci sia centro di detenzione per serial killer nelle vicinanze... Ecco, premesso tutto ciò, mi sento di dire che questa copertina mi fa esperire stati di scomoda e maleodorante aerofagia acuta. 
Perché, dai, che so' 'sti contorni tagliati con l'accetta? La faccia di lei pare non avere un profilo vero, essù. 
E a noi ci sta bene tutto, veramente, ormai ci siamo abituati al peggio – e voi, forse, pure più di me – ma la totale assenza di contorni smuove sempre qualcosa di brutto e cattivo dentro di me. Sarà che una vita da blogger molto miope mi fa essere particolarmente sensibile all'assenza di contorni nella vita reale e, quindi, quando vedo che questi mancano anche nella vita non reale mi sento un po' morire, ma per favore, per favore gente, ribelliamoci a questo scempio. Miopi di tutto il mondo, uniamoci contro la mancanza di contorni anche nelle copertine!
E poi vorrei capire come fanno a piovere petali di papavero dal cielo. Le ipotesi possono essere due: lei strappa i papaveri e come una deficiente se li lancia addosso (quanti anni hai, ciccia? Cinque?) oppure è chiaramente una delle Piaghe d'Egitto che è sfuggita alla Bibbia. E se è così, ragazza, io me preoccuperei che come minimo quei petali so' acidi e, se ti cadono in faccia, diventi una lebbrosa in meno di un nanosecondo. Poi ti si comincia a sciogliere la faccia, si presentano bubboni purulenti, in un momento arrivano tizi incappucciati che te portano al lazzaretto più vicino a casa e muori in solitudine sperando che nessuno si ricordi di te come l'untrice maledetta. La scheda non getta luce sulla pioggia acida di papaveri, ma ci dice che L'anno dei fiori di papavero narra la storia di Nicole, cresciuta da una madre single che si è sempre rifiutata di parlarle del padre, che rimane incinta e il fidanzato, scoperta la lieta novella, la abbandona soprattutto perché scopre che il bambino ha una malformazione cardiaca. Ora, d'accordo, non sei rimasta con la faccia liquefatta dalla pioggia di papaveri però, tesò, un po' di sfiga te l'hanno portata. Lo vedi che è una delle nuove Piaghe d'Egitto? Io, senza sapè niente, t'avevo avvertita. Il tuo lui, comunque, è un simpaticone, non c'è che dire.

Una bella scala a chiocciola che ti fa vomitare l'anima dopo la terza curva (che poi, non so se avete notato, ma è infinita, non c'ha manco una piazzola di sosta... Cioè, sta tizia è un miracolo se non è morta dopo aver salito tutte quelle scale! Io sto al quarto piano senza ascensore e ogni volta che penso di dover tornare a casa, soprattutto con la spesa, mi viene da piangere)... Dicevamo, una bella (e comoda!) scala a chiocciola da salire in mezzo al muschio e alle piante. Me dà l'idea di un posto poco umido, dove non c'è alcuna possibilità di farsi venire l'allergia in primavera, no?
Che poi, un secondo, ma la nostra amica sta salendo o sta scendendo? Vuoi vedè che il nostro caro grafico ci voleva quasi che fare una citazione di quelle culturali e c'ha messo di mezzo Escher? Sono quasi commossa, soprattutto perché la tizia a 'sto punto, facendo la scala che non sale e non scende, sarà tipo sudatissima e non può manco togliersi il mantello che poi non sa 'ndo metterlo. 
Perché, io non so se v'è mai successo d'annà a un concerto in pieno inverno tipo al Palalottomatica, che fuori ci stanno meno diciotto gradi poi entri e ce ne stanno invece 180, con la condensa del sudore della gente che è morta lì dentro, cercando di raggiungere la prima fila. A me è successo, e ve giuro che il cappotto non sai 'ndo metterlo, dopo un po' te pesa come se stessi a saltà con un sacco di patate di 8 kg attaccato al braccio. E quindi io la tizia qui la capisco, che sale e scende col mantello, che non sa dove metterlo e che sta sudando copiosamente. Tesò, quando raggiungerai la meta fatte 'na doccia, te prego, e coprite che te prende un coccolone. La scheda, vi tranquillizzo, non ci dice niente sull'eventuale polmonite de 'sta povera disgrazia, ma ci dice solo che Rachelle combatte creature teribbili, che è al servizio del Regno, che c'ha un sacco di problemi, na vita dedicata al lavoro e poi non c'hai manco la pensione o no stipendio decente. Rachelle, te capisco amica, ma che vuoi farci? Ce semo passati tutti, pur'io che ho cominciato a lavorà con uno stipendio di 175 euro. So' con te, resisti e tieni duro. E mettiti la canottiera sotto, che poi te se scoprono i reni e non c'hai giorni de malattia col contratto a progetto, poi sennò te dicono che pòi tranquillamente lavorà da casa con la febbre a 40 e il bocchettone pe' l'ossigeno.


Per questo lunedì è tutto, vi auguro infinite piogge acide e fiatoni da scale infinite. Alla prossima settimana, abbraccioni!

mercoledì 26 ottobre 2016

5 is megl che one #2 – ovvero 5 film che parlano di me


In questa seconda puntata di 5 is megl che one avrei voluto parlare di libri, ma la lista di 5 libri che... (non vi dico che cosa, ovviamente) ha richiesto più tempo del previsto – eh, so' una tipa precisa io –, così ho optato per un'altra lista. Una lista, comunque, non meno importante di quella che avevo in mente e che vi mostrerò, magari, nella prossima puntata. O forse no? Un po' di mistero ci vuole sempre. 
Oggi voglio parlarvi dei 5 film che, in un modo o in un altro, parlano di me. Di me come persona, intendo. Ho sempre pensato che se qualcuno conoscesse un po' i film, i libri, i video musicali che mi rappresentano, conoscerebbe – in una certa misura – anche me. Probabilmente non è così, perché certamente tra mille milioni di persone, ci sono altri che reputano questi film belli (o apprezzabili). Io, invece, non dico che mi piacciono e basta. Nono, gente, sono me. Mi piacciono perché, in un certo senso, parlano di me.
A voi, comunque, l'ardua sentenza: da questa lista, si capisce mica che tipo di persona amabile, bellissima, generosa, fantasticherrima, sono? (Ovviamente mi complimento da sola ché qua, se stiamo ad aspettare qualcuno, moriamo di vecchiaia).

1. Il favoloso mondo di Amélie (Le Fabuleux Destin d'Amélie Poulain).
La prima volta che ho visto il film ne sono rimasta incantata: i colori, la musica, la straordinaria e delicata bellezza di Audrey Tautou, la storia.
Io, probabilmente, non sono bella neanche la metà di Audrey Tautou e non indosso neanche le meravigliose gonne che, invece, indossa Amélie – be', diciamo che la mia alternativa altezza non me lo permette –, eppure ho comunque molto di lei: i maglioncini merlettati, i capelli scuri e corti, la vita piena di sorrisi e pupazzetti, la spensierata ingenuità verso il mondo, la sensibilità verso qualunque forma d'amore, e quella che io chiamo "innata passione per le cose sceme". Nonostante abbia superato l'età di Amélie – ahimè, brutta la vecchiaia eh –, sono ancora alla ricerca di qualcuno che possa diventare quello che Nino diventa per lei. In realtà, però, non lo cerco veramente. Alle volte inciampo in qualcuno che penso possa esserlo, che credo possa avere la stessa mia passione per le cose sceme ma poi, dopo qualche tempo, mi accorgo che viviamo in due mondi diversi: lui troppo aggrappato alla realtà, io troppo intenta a guardare le nuvole e a scorgerci buffi animaletti. Ricordo di una volta in cui, dopo avermi vista giungere al lavoro con un maglione pieno di fiocchi, un mio collega mi disse: – "Sarebbe bello vivere nel mondo di Nereia per un giorno". Forse lo sarebbe davvero, o forse no. Certo è che la gente troppo attaccata alla realtà non potrà mai capirmi completamente.
Questo sono io a dirlo di me stessa, ovviamente, e voi lo sapete meglio di me, nessuno può giudicare sé stesso. Mi piace però pensare che qualcuno di mia conoscenza, guardando questo film, possa pensare a me.

2. One day.
Su One day, sia libro che film, ci sono pareri discordanti. Molta della gente che conosco – anche solo
Whatever happens tomorrow, we had today.
virtualmente – pensa che sia un libro orrendo e patetico. Cosa che, ovviamente, pensa anche del film. A me, sul serio, dispiace tanto per quelle persone. Mi dispiace soprattutto perché non riescono a guardare oltre, soffermandosi sulla superficie dei fatti. Se si sforzassero di pensare, se si sforzassero di ricordare, troverebbero di certo momenti apparentemente sciocchi, ma in verità stupendi, vissuti con una persona.
Mi dispiace anche perché trovo che sia una storia d'amore – e d'amicizia – molto bella e intensa. E se penso che qualcuno potrebbe non aver vissuto momenti belli neanche la metà di quelli vissuti da Emma e Dexter... be', mi rattristo per gli altri. Emma e Dexter possono essere reali anzi, lo sono.
Si rincorrono per anni e, quando finalmente si trovano, vivono dei momenti semplicemente bellissimi. A me è successo, di rincorrere qualcuno intendo, e mi è successo di essere la Emma della situazione. In verità io sono sempre Emma: intrappolata in una vita "reale" che, la maggior parte delle volte, risulta essere non solo non all'altezza delle aspettative, ma anche poco stimolante. Non lavoro (non ancora, almeno), in un brutto ristorante messicano e non ho un fidanzato idiota, ma mi è accaduto – più spesso del dovuto – di accontentarmi di ciò che la realtà poteva offrirmi, nascondendomi dietro un mondo parallelo del tutto immaginario, senza trovare la forza di uscire allo scoperto e sbocciare. Emma vive costantemente, quando non è con Dexter, una vita senza alti né bassi, ma che le offre la tranquillità tale che le permette di rifugiarsi nelle sue comfort zone. Eppure la vita, invece, dovrebbe essere sempre vissuta come fosse essa stessa una comfort zone.

lunedì 24 ottobre 2016

Photoshop non ti conosco, obbrobrio non ti temo, Paint ti amo 24/30 ottobre



Persone, gente, lettori!
Come ogni lunedì, siamo qui presenti per parlare di ciò che potete trovare in libreria. Ci tengo a segnalarvi questa roba così che, dovesse capitarvi di imbattervi in uno di cotali volumi, la vostra retina – già precedentemente preparata allo scempio – non ne rimarrebbe troppo provata. Certo, che vi rimanga illesa è praticamente impossibile, ma rovinata solo per metà. Ricordate, però: quando decidete – o siete costretti per qualsivoglia motivo – di passare vicino ad alcuni reparti delle librerie, sappiate che è bene sempre indossare gli occhiali da sole. Per inciso e per completezza di informazioni, gli occhiali da sole servono per:
a. Non far vedere ai passanti che correte il rischio di diventare ciechi e/o di perdere un occhio guardando la copertina di un Newton Compton poporno;
b. Riparare i vostri acuti occhietti dai colori sgargianti di suddette copertine;
c. Poter rivolgere uno sguardo indignato a chi questi libri li compra senza essere visti – punto molto importante.
E detto ciò, andiamo ad ammirare! Ah, prima che mi dimentichi: c'ho inserito un Amazon Crossing che sì, blabla, non lo trovate in libreria sì, blabla, Amazon bruttone, cattivone, fa fallire mio zio che vende ancora polli agli angoli delle strade, sì blabla tutto quello che ve pare ma era troppo bellissimo e non potevo ignorarlo.

La prima domanda è: ma lui c'ha una protuberanza al posto del corpo? Cioè, posto che la maglia a righe è di lei – ed è di lei –, quella cosa bianca dovrebbe essere la maglia di lui. È anche sotto la sua testa, ergo dovrebbe proprio essere il suo corpo. Ma che parte del suo corpo? Cos'ha, un braccio che gli parte dritto dritto dal collo? Mi auguro sia una sciarpa, che ne so, un accappatoio, ma guardate pure un pezzo de cartone – ao', ognuno si prepara all'inverno come meglio può – ma basta che non penso all'ipotesi di uno co' tre braccia di cui uno che gli esce dal collo perché, raga, manco Miss Peregrine e i suoi bambini speciali. Oh, c'ho dei riferimenti culturiali che fermate eh, fermate!
C'è da dire anche che mi sono accorta che lei è una lei solo perché la maglia segue le rotondità delle tette, che sennò data l'angolazione, il mento sfuggente e la mancanza di tutto, poteva pure essere un lui (e, a quel punto, la storia prendeva una piega più interessante, secondo me, ma so' opinioni).
L'effetto Crystal Ball ormai è così consolidato che Sperling e Kupfer non può più abbandonarlo quando la Todd pubblica un libro. C'hanno sicuramente provato, smarmellando così tanto il fondo della foto che alla fine, per non far notare la cagata che era, c'hanno dovuto piazzà proprio le bolle di Crystal Ball. Il titolo è bellissimo, i 40 font utilizzati pure, per non parlare del cognome scritto in grassetto ma il nome no. Perché? La scheda non getta luce su questo mistero, ma ci dice che Dakota e Landon – che non so se sono gli stessi degli altri 600 libri – arrivano a New York perché Dakota vuole studiare danza. Peccato che si iscrive alla scuola, due pas assemblé, due fouettés en tournant e lo manda a cagare accompagnando le parole con un elegante grand jeté. Eh, l'amore è così: o dura tanto, o non arriva all'intervallo. E niente, insomma, lui è solo ma per fortuna che c'è Tessa, la sua migliore amica, che lo consola e che non sa cosa sia un grand jeté per cui non corre il rischio di essere mandato a cagare due volte in mezza giornata.

Boh. Io proprio boh. Non so che dire perché fino a quando pensiamo che lo strabismo è figo, c'è poco da dire.
Lei già stava messa male che porella aveva la super mascella come Caio, ma pure lo strabismo? E poi, dico, trucchiamola in modo pesante, così chi non c'aveva fatto caso lo nota subito che c'ha un occhio a destra e l'altro a carissimo amico.
Mi so' letta la scheda e, stando pure a ciò che era successo nelle puntate precedenti, me so' fatta l'idea che la serie della mia amica Armentrout è qualcosa di così terrificante che mi piacerebbe quasi leggere. Riassumento, lui arriva sulla Terra ma non vuole umani come vicini. Purtroppo gli capita lei, che lo strega con lo sguardo, e lui decide di stalkerarla tra le piante. A quel punto lei non resiste al fascino dello schizofrenico e decide che devono stare insieme, ma il governo fa delle cose bruttissime agli alieni senza patria, tant'è che il fratello di Daemon è stato torturato, robbe con esperimenti e mamma mia aiuto, uniamoci contro queste cose brutte, chiamate i compagni alieni etc etc. Insomma, ora pare che il governo ce l'avrebbe pure con gli ibridi, e la vita della tizia strabica è pericolo. Così Daemon deve fare un sacco di cose per salvarla: prima di tutto trovare un oculista bravo che le consigli gli esercizi da fare, poi andare da Salmoiraghi e Viganò ché ha sentito che se compri un occhiale da sole, quello da vista è in omaggio, e poi cercare anche – come se la sua vita non fosse complicata abbastanza – di "tornare nell’oscurità per rivedere la luce e salvare due mondi da conseguenze disastrose". Che io non so mica che vordì 'sta frase, però faceva scena e lo scrittore di quarte di copertina sicuro non l'ha manco aperto per sbaglio 'sto libro – ma non diteglielo che s'offende.

Lo so, lo so: Gelida non è possibile trovarlo in libreria, ma questa ragazza dal collo più largo della Salerno-Reggio Calabria non potevopassare inosservata.
Ma che collo c'ha? È enorme, veramente troppo grande. Soprattutto a sinistra della foto, ma che è? Largo ma soprattutto così corto che manco le mucche, gente, manco le mucche.
Quella cosa in basso a sinistra, che a me sembrava il cinturino di un brutto orologio, è un aereo. Sì, è un aereo, avete letto bene. Questo significa che se già con le dimensioni del collo avevamo mandato le proporzioni a farsi benedire (no, seriamente, neanche Poseidone in Pollon ha quel collo), con l'aereo abbiamo proprio toccato il fondo.
La scritta "Bone-Secrets" (con tanto di punto finale) sulla fronte della nostra amica non ho capito se è un tatuaggio oppure no. O forse il punto è un neo? 
L'unica cosa positiva di tutto questo lavoro è il nome del traduttore in copertina. 
Comunque, la scheda dice che Gelida è un romantic suspence (da domani esiste il romantic architect, il romantic carrefour, il romantic benzinaio e pure il romantic acqua e sapone) che ci racconta la storia di Brynn, un'infermiera forense che indaga su un incidente aereo non so da che parte in montagna e allora, forza gente! Sbrigamose prima che ariva lo yeti, e niente vanno là lei e un tale che si chiama Alex ma so' tutti morti perché oh, stamo in montagna, mica a Ostia. E insomma la storia si fa seria perché l'unico superstite che è sparito è il famoso criminale che si trovava a bordo di quell'aereo. Così, tra un'indagata e l'altra, Alex si rende conto che Brynn è proprio bona e sticazzi se so' colleghi. Cosa succederà? Nella loro intimità useranno i lacci emostatici e le sedie a rotelle per giocare a medico e paziente? Oppure Alex fingerà di essere un poliziotto ma sotto il vestito indosserà mutande gommose? Scoprivatelo su Amazon, costa solo 10 euro!


Per oggi è tutto, scusate il ritardo ma è stata una mattinata piena. Vi auguro una settimana piena di gente che vi manda a quel paese con un plié. Al prossimo lunedì!

mercoledì 19 ottobre 2016

Questione di incipit #14


Buongiorno, buongiorno!
Grandi novità (oddio, grandi... me sento sempre un po' l'arrotino quando faccio di queste cose) da queste parti. Dunque, da questo momento in poi, Questione di incipit si alternerà con 5 is megl che one fino a quando non capirò bene in che modo organizzare la programmazione del blog. Ci sto lavorando, anche se saltuariamente, e prevedo alcuni cambiamenti. Non radicali eh, sia chiaro, ma vorrei trovare un'armonia che al momento manca.
Sarebbe il caso forse di mettere il blog in stand-by, dato il momento confuso, ma non me la sento. Non me la sento perché spero che insistendo, riuscirò a ritrovare quel quid che in questo periodo non c'è. Lo so, lo so, sono cocciuta. Ma sono del Cancro, e dice l'oroscopo che sono testarda. Ed è vero. Me fisso sulle cose fino a quando non ci riesco.
Quindi, detto ciò, Questione di incipit ci sarà un mercoledì sì e uno no e presenterà solo l'incipit del libro che sto leggendo. O che sto tentando di leggere (ma questo è un altro discorso).
Oggi vi presento Una spola di filo blu di Anne Tyler, una delle mie autrici contemporanee preferite in assoluto.
Inoltre, vi avverto che dal mese prossimo ripartirà In my bookshelf e anche una nuova rubrica (:buauauaua: risata malefica).

Come sempre, perché Anne Tyler è una certezza, anche il suo ultimo libro racconta la storia di una famiglia e delle sue intricate relazioni interpersonali.
Protagonista de Una spola di filo blu è la famiglia Whitshank e le quattro generazioni che la compongono. 
E come in tutte le famiglie, ci sono segreti, mezze verità e questioni in sospeso. E Anne, la mia cara Anne, è così brava e così spontanea nel raccontare queste storie, che sembra sempre che le famiglie protagoniste dei suoi libri siano, in parte, anche le tue famiglie. Tutte. Non so come fa, dico sul serio, ma ci riesce sempre. Devo ancora trovare un suo libro che non mi piaccia. Anne Tyler, con i suoi racconti, riesce sempre a trasportarti – per tutta la durata del romanzo – nella dimensione in cui si trovano i suoi personaggi. E ovviamente, anche in questo caso, mi sento come fossi nel salone dei Whitshank, ad ascoltare la storia del padre di Red, giunto a Baltimora negli anni '20, e vedo scorrere le sue vicende – certo non sempre felici – e, non lo so. Temo che per capire il perché io ami tanto Anne Tyler, bisognerebbe leggere almeno un suo libro. Perché nelle sue storie sembra che non accada mai niente di incisivo e invece sì, gente, invece sì. Nelle storie di Anne Tyler accadono le emozioni.


PRIMA PARTE
Non posso andarmene finché non muore il cane

1

Una sera di luglio del 1994, Red e Abby Whitshank ricevettero una telefonata dal figlio Denny. Era tardi, si stavano preparando per andare a letto. Abby, in sottoveste davanti al comò, sfilava le forcine dalla sua disordinata crocchia color sabbia; Red, un uomo scuro, magro, in pantaloni del pigiama a righe e maglietta bianca, si era appena seduto sul bordo del letto per sfilarsi i calzini. E così, quando il telefono squillò sul suo comodino, fu lui a rispondere. «Casa Whitshank» disse.
E poi: «Oh, sei tu, ciao».
Abby girò le spalle allo specchio con le mani ancora nei capelli.
«Cosa» disse Red senza punto di domanda.
E poi: «Eh? Oh, Denny, ma che cavolo...»
Abby lasciò cadere le braccia.
«Pronto?» disse Red. «Aspetta. Pronto? Pronto?»
Rimase in silenzio per un momento e poi riagganciò.
“Cosa c’è?» gli chiese Abby.
«Dice che è gay.»
«Cosa?»
«Ha detto che doveva dirmi una cosa: che è gay.»
«E tu gli hai sbattuto il telefono in faccia?»

lunedì 17 ottobre 2016

Photoshop non ti conosco, obbrobrio non ti temo, Paint ti amo 17/23 ottobre


Buongiorno miei prediletti!
È finalmente lunedì (incredibile come passa il tempo) e io devo ancora capire quando e come tornare qui sopra a parlarvi di libri. Ma possiamo farcela, possiamo farcela. Forse il periodo del cactus e la poca voglia di leggere qualsiasi cosa sia più lunga del tempo di cottura dei maccheroni volge al termine, e quindi che magari torno presto a parlarvi di libercoli. 
Ricordiamoci che venerdì sono ospite nel simpatico blog di Clacca, quindi ecco via, ricordatevi così mi leggete anche lì (dovessi mancarvi). E poi, in ultimo, sappiate che sto lavorando per voi e inaugurerò una nuova rubrica tra qualche giorno, diversa da 5 is megl che one (che se vi siete persi siete proprio delle brutte persone). 
Adesso, però, basta coi convenevoli, andiamo subito a vedere che cosa possiamo trovare in libreria che raga, davvero, c'ho una voglia matta di presentarvi lammèrda di questa settimana. Invero oggi dovrei anche fare i compiti e invece stiamo tutti qui allegramente a trastullarci. 

E niente, dreamology. Che è pure difficile da pronunciare (bene eh, no all'italiana),  dreamology. Come fa a esse un successo del passaparola, co' sto titolo, è uno di quegli enigmi che manco l'amico nostro Enricone Ruggeri c'ha potuto fà una puntata de Mistero. 
La copertina non sarebbe manco tanto mal fatta, se non fosse per la sua concezione. Cioè, ormai siamo ben oltre il concetto di fascetta, la frase della fascetta la imprimiamo direttamente sulla copertina. E siamo anche ben oltre il semplice gioco di filtri, considerando che il cappello della tizia pare finto, che ne so, de plastica. Il taglio della foto, se proprio vogliamo entrare nel dettaglio, non è manco tutto sto granché. Cioè, va bene tutto, vanno bene i faccioni in copertina, vanno bene le ragazze pseudo bone, vanno bene anche le posture innaturali (che so' tutte cose che ormai vanno talmente tanto di moda che se fai una copertina normale capace che in libreria non te caga nessuno), ma le braccia almeno gliele vogliamo lasciare? Che è sta cosa che se non stai attento pensi che sia una tipa bona, probabilmente addormentata in piedi – ao', non tutti so' portati per gli after di electro-vermut –, e senza braccia? Me fa impressione 'sta cosa. Oltre ad avere lo shatush peggio riuscito della storia, ma questo è un discorso delicato ché io non so' parrucchiera e non me intendo, ma comunque me pare che lo shatush fosse già fuori moda non appena diventato di moda. E se non lo era faceva bene a esserlo, dato che spesso c'avevi risultati che manco le detenute a Rebibbia se tingono i capelli così male. Adesso, comunque, sicuro lo è. Ivano, il mio parrucchiere a Roma, non lo fa più da almeno un anno e lui sì che se ne intende, mica come me. Parlavo dello shatush e m'ero scordata dell'importanza della trama! La scheda ci dice che Alice non va spesso dal parrucchiere però immagina di avere un fidanzato che ama alla follia. Fidanzato che NON esiste. Però, piuttosto che essere ricoverata nell'ospedale psichiatrico più vicino, Alice vive una vita normale fino a quando non incontra proprio lui, Max, nella vita reale! Però il vero Max è diverso dal Max che vive solo nella testa di Alice. Questa è la storia d'amore di due psicopatici, ci metto la mano sul fuoco.

Dici, si potrà mai rovinare un quadro di Da Vinci? Dici, no perché, cacchio, è Da Vinci. Difficile rovinare una cosa così bella. È come dire, che ne so, si può rendere una copertina Newton Compton bella? No che non si può, è Newton Compton. Eh, e invece ce l'abbiamo fatta a rovinare Da Vinci. Io raga, fino a oggi, credevo che non fosse possibile rendere una cosa molto bella molto molto molto brutta. E invece, ao', me so' dovuta ricredere. D'altronde, così come non puoi rendere bella una copertina Newton Compton, puoi rendere brutta una cosa bellissima. Me pare che fili come ragionamento. E in redazione, quel giorno, il grafico deve essersi proprio impegnato tanto, perché non ci sono altre spiegazioni.
Ha messo gli avanzi della carta del regalo che gli aveva fatto la nonna Giacomina per il compleanno (magari era un set da mezzopunto, sapete no, quelle cose che devi ricoprire col mezzopunto una bella scena di caccia del '700) sopra a un'immagine della Monna Lisa e tadà: la cagata è servita.
Mi piace molto la cura con cui la carta del regalo da parte di nonna Giacomina è stata posta sull'immagine di quella poraccia della Monna Lisa, mi piace soprattutto il gioco praticamente inesistente delle ombre e il completo disinteresse per la tridimensionalità e la profondità. Perché mica è cosa da tutti eh, esse così poco bravi con Photoshop. Perché, cacchio, provateci voi. Io c'ho provato a modificà qualche immagine e succede che Photoshop te mette un sacco di livelli de gniente che poi te non riesci a toglie, ma non è che aggiungi cose. Se c'hai molta fortuna, non riesci manco a cambià il colore de una porzione dell'immagine neanche seguendo il tutorial su youtube (che è quello che succede sempre a me). Ma comunque, pare che sia un grande thriller e anche un thriller geniale questo, almeno lo dice la scheda (e anche la copertina già infascettata). E comunque decidetevi: o grande o geniale. Succede che L'ultima cena di Da Vinci viene distrutta, un gruppo di fotomodelle viene rapito e seviziato e quando riappaiono sono tutte sfigurate in volto. Nel frattempo, nel mondo un virus informatico distrugge tutto tutto tutto ma proprio tutto, pure l'immagine mia nella fotocamera del bancomat su Avenida Diagonal dove ho prelevato ieri. TUTTO. Poi arriva una scienziata, alla quale hanno rapito la figlia, che fa luce sul mistero: è stata la Monna Lisa. Ed era pure lei che ha usato il mio bancomat ieri. 'Sta mignotta.

Questa potrebbe essere la vera storia del fratello magro di Gambadilegno, il famoso fratello senza faccia, non so se ne avete mai sentito parlare. 
Questo è un guerriero, gente: un tale che dietro c'ha un'esplosione nucleare, i pantaloni più corti da un lato e una gamba veramente secca. Oltre che alla tipica mancanza della faccia. Che, non lo sai che i guerrieri delle battaglie sulle montagne di Dio non c'hanno la faccia ma hanno, al suo posto, na cosa confusa e tutta nera? 
Eh, sapevatelo gente, sapevatelo ché io manco lo sapevo e adesso lo so. E comunque sta cosa che il suo polpaccio sia grande quanto il mio polso mi disturba un poco, fa aumentare i miei già non esattamente pochi complessi sulla fisicità. 
Cioè uno ha un polpaccio grosso quanto il mio polso. E fa il guerriero. Quindi io con le gambe che me ritrovo che faccio? L'elefante a Halloween? Basta per favore eh, non ci voglio manco pensare ché mi vengono le manie poi. 
La scheda ci dice che è un grande romanzo storico, avventuroso, eroico, epico e potente, senza precedenti. Mettiamoceli due aggettivi che cinque non sono abbastanza. 
Vedete, quando Lucilla e Claudio mi hanno insegnato a fare la copywriter, mi hanno spiegato questa cosa per la quale gli aggettivi uno di seguito a l'altro sarebbe meglio se non fossero più di tre. Per questioni di leggibilità, chiaramente. E niente, insomma, da Newton Compton c'hanno problemi pure coi responsabili dei contenuti. Saranno amici o parenti dei grafici. O magari so' i grafici stessi che si improvvisano copy. La trama non è interessante: narra la storia di questo tizio con la gamba secca, e probabilmente che non arriva a pesà 50 kg, che va in viaggio per recuperare l'arca di Noè. Se c'ha quelle gambe c'ha pure le braccia di un ragazzino di 12 anni, 'ndo vai a recuperà l'Arca? Ma stattene nella grotta con la guerra nucleare, dai retta a me, che tanto co' quelle braccine manco riusciresti ad arrampicarti sull'arca. Ma poi arrivi pure tardi, stai già nel 1898, che pezzi vuoi ancora trovà dell'Arca?


Per questo lunedì è tutto, purtroppo. Vi auguro un libro pieno di elenchi di aggettivi e la Monna Lisa come amica! Al prossimo lunedì, abbraccioni.

mercoledì 12 ottobre 2016

5 is megl che one #1 – ovvero le 5 cose che mi piacciono della Spagna



Mi piacciono le liste, mi sono sempre piaciute. Faccio la lista di tutto: dei libri da leggere, dei libri da leggere il prima possibile, dei libri da comprare, dei libri che è meglio prendere in biblioteca, dei film che voglio vedere, la lista delle cose che devo (ma più generalmente vorrei) fare il giorno dopo e la lista della spesa, ovviamente. Tecnicamente tengo anche un calendario, a volte, delle cose che devo scrivere sul blog. Ma solo a periodi alterni, non sono una persona molto ordinata e si vede. Soprattutto dal fatto che le liste, spesso, vanno un po' a farsi benedire, nel senso che faccio spostamenti o inserisco libri, film, oggetti e vabbè, so' fatta così.
Ma questo 2016 è stato l'anno dei nuovi inizi per me, d'altronde Rob Brezny me lo aveva anticipato, e quindi ho eliminato gente dalla mia vita, ne ho aggiunta altra, ho cambiato città (e Stato, posso dire), ho cambiato immagine profilo, mi piacerebbe cambiare anche questo spazio – ma non esageriamo eh coi cambiamenti.
E, nel delirio dei cambiamenti, vorrei seguire più le mie liste e diventare, magari, una persona più disciplinata. Nasce così 5 is megl che one che, come dice il sottotitolo, è il mondo secondo me. Saranno liste di 5 cose, 5 cose che preferisco ad altre. Argomenti disparati, come la puntata di oggi, ma normalmente incentrati su libri e film e film tratti da libri e serie tv e personaggi, scrittori, ambienti, citazioni, copertine.
Oggi parliamo delle 5 cose che mi piacciono della Spagna.

1. In Spagna la gente cammina.
Provengo da un paese – originariamente – dove camminare è tipo un'opera del demonio. Si fa tutto in macchina, ma proprio tutto. E dire che, comunque, non è un paese particolarmente grande. Certo, è in salita, ma non tutte le zone lo sono. In quel paese, in Sicilia, i marciapiedi sono quasi sempre vuoti, a meno che non si tratti di una festa particolare o alla gente sia permesso camminare perché ci sono le bancarelle, una processione o qualsiasi altra cosa. Quando camminavo semplicemente per andare al supermercato, la gente che mi passava vicino in macchina rallentava per capire se ero un essere umano o, che so io, il diretto discendente di Alien.
Poi sono arrivata a Roma, dove la gente cammina per disperazione o, se cammina per piacere, lo fa nelle strade del centro storico. La disperazione è dovuta, la maggior parte delle volte, alla impossibilità di prendere i mezzi pubblici. Delle volte aspettavo così tanto le condizioni ottimali per salire sull'autobus (tipo, non avere l'ascella di qualcuno poggiata sulla fronte, non reggersi alla cintola del vicino per rimanere in equilibrio e cose così) che, una volta preso, cominciavo a fare i calcoli: "cacchio, ho aspettato 45 minuti per salire su un autobus comunque molto pieno, devo coprire una distanza di 4 km. A piedi ero già quasi arrivata".
Qui i mezzi funzionano e anche molto bene, non c'è traffico e gli autobus passano ogni 7 minuti circa (dipende dalle linee), ma la gente comunque va a piedi. Perché? Perché ci sono degli spazi pedonali talmente tanto belli che viene proprio voglia di andare dovunque. A piedi.

2. In Spagna i libri hanno le copertine più brutte che in Italia.
Questo è meraviglioso, dico sul serio. Le copertine dei libri, di quasi tutti i libri, sono così brutte che è una gioia per i miei occhi. E non dico così per dire, per fare la ganza, perché mi sento l'esperta della copertina brutta – cioè, anche se sì, un poco lo sono –, ma lo dico perché è la verità. Basta andare su amazon.es e guardare le copertine dedicate alla Giménez Bartlett o quelle dei libri di Lorenzo Silva. Una cosa da far accapponare la pelle (e far tornare su gli gnocchi che me so' mangiata ieri).
Le uniche copertine belle sono quelle che si rifanno allo stile anglosassone – che non se sapranno vestì, ma a grafica so' messi meglio di qualsiasi Newton Compton dei miei stivali – e non sono, però, solo dei romance. Capita che qualche romanzo normale abbia una copertina molto bella. Capita di rado eh, ma capita. 
I libri qui costano parecchio più che in Italia, a esclusione dei tascabili che, comunque, non sono tantissimi. Credevo non esistesse un posto con i prezzi più alti che in Italia e invece, gente, c'è: è la Spagna. Se poi vuoi leggere in catalano, fai prima a spararti ché c'hanno dei prezzi allucinevoli. Parliamo di brossure di non eccelsa qualità a 19 euro che, raga, vi giuro che 19 euro per una brossura del cacchio con quelle copertine oscene... È praticamente un furto.
E comunque, nonostante questo, in Spagna si legge più che in Italia. Vedo un sacco di gente leggere o camminare con un libro in mano. 

lunedì 10 ottobre 2016

Photoshop non ti conosco, obbrobrio non ti temo, Paint ti amo 10/16 ottobre


Chiedo umilmente perdono per l'assenza della scorsa settimana ma ero in vacanza, più o meno. Ho passato il weekend a Madrid e sono rientrata a Barcellona il lunedì sera parecchio tardi.
Avrei potuto preparare il post il giovedì, ma poi non avrei potuto condividerlo dato che ero in assenza di qualunque oggetto tecnologico che non fosse il mio telefono che, però, gentilmente aveva terminato tutti i giga a disposizione. Succede, quando la connessione di casa è un po' una merda e il tuo telefono si rifiuta di connettersi al wifi senza alcun motivo apparente.
E succede soprattutto se sei ancora costretta a usare maps per andare da qualche parte perché hai il senso dell'orientamento di un ghiro ubriaco.
A parte questo, sto pianificando il mio rientro a Roma per prendere delle cose, qui è iniziato l'autunno e io faccio ancora la figa con il pigiama estivo. Non me sembra il caso di prendere la broncopolmonite in un posto dove fa meno freddo che a Roma, solo perché faccio la ganza in canottiera. Considerando poi che a Barcellona nessuno sembra avere i termosifoni in casa (??). 
Ma non perdiamoci in chiacchiere, vediamo piuttosto cosa vi aspetta in libreria questa settimana.

Ahhh, ma che bello questo poster con il cantante della cover band dei Take That de Frosinone e la sua groupie più accanita. Sono certa, è il 1996, quando il chiodo di pelle nelle donne era proprio cioè guarda questa quanto è trasgressiva cioè, recita l'alfabeto mentre fa i palloncini con la Big Babol fragola e panna. 
Sarebbe tutto molto più bello se questo fosse un libro di Federico Moccia ambientato a Vetralla, ma invece non lo è. È un libro di Katie McGarry (intelligente la scelta del fond bianco e sottile, così mezzo cognome si perde nello sfondo), che non ho alcuna idea di chi possa essere e che si chiama Per sempre con te
Mi piace molto il cambiamento repentino del filtro del colore, da rosato a verde, molto accurato, molto di classe, molto che c'azzecca una cifra. Mi piace immaginarli seduti sulla testiera di un divano perché oh, la cosa che c'ha sotto il sedere la tipa non sembra una sella di una moto ma la testiera del divano della mia vicina di casa a Roma. 
Mi piace anche un sacco che il braccio sinistro di lui neanche si intravede, coscché i risvolti della vicenda di questa coppia di tossici a cavallo di una testiera di un divano sfasciato a Via Ignazio Silone nel 2016/1996 siano davvero, davvero, davvero interessanti. La scheda ci dice che Breanna è una ragazza ligia al dovere, per la quale le regole sono tutto. Fino a quando non viene invischiata in una vicenda di cyberbullismo per una foto compromettente in compagnia di Thomas, detto anche Rasoio. Ed è subito Gianluca Grignani che si propone di fare cerette all'inguine molto profonde a gente che esce da scuola.

Premesso che non avevo idea di chi fosse Mauro Icardi – ma Google serve anche a questo – e premesso che i libri sullo sport e su gente che fa sport e su gente che faceva sport e su gente che allenava gente che faceva sport li trovo la cosa più noiosa e inutile ever, ma era necessario fotografare Mauro co' quella scrima che neanche Fantozzi quando finge di essere giovane? Lo so, il mio disinteresse per il calcio e qualsiasi attività non ricreativa (coff coff) che include del sudore è commovente.
Evitiamo anche di fotografare uno che la sera prima s'è fatto a merda in un locale ed è ancora evidentemente vittima del post-sbornia?
Ora, magari Icardi non è un bel ragazzo già di suo, ma non c'è bisogno di infierire in questa maniera, essù. Non è carino e manco corretto mettergli in evidenza le occhiaie e il colorito da The Walking Dead usando uno sfondo bianco, eddaje no?
E poi, uno del 1993 che fa il calciatore, che storia segreta vuoi che abbia da raccontare? C'hanno 23 anni, c'hanno, e "una vita" da raccontare con delusioni d'amore che manco Leopardi, con esperienze che manco un agente del KGB. Ao', fai il calciatore, giochi da quando c'avevi 6 anni probabilmente, che c'avrai di così scabroso da raccontà? 
La scheda ci dice che lui invece cose incredibili da raccontare ce le ha, e vabbè allora io getto la spugna. Sarà interessante, che ve devo dì. 

E niente, giocare a tris in 18 è sempre stato complicato, soprattutto se si scelgono 100 simboli diversi. Le regole non mi sembrano difficili eh, ma d'altronde c'è gente che pensa che io me la tiro 'na cifra e me la sento un sacco calda, per cui non mi permetto di giudicare persone che non conoscono le regole base per giocare a tris. Anche se è un gioco che si impara credo in prima elementare.
Questa copertina è il male, gente, è davvero il male.
È così il male che non c'ho parole per descriverla: è terrificante. Come gli è venuto in mente di mettere il tris coi cuori nella copertina di un libro? Ma manco io quando, alle elementari, ricevevo i bigliettini con scritto "vuoi essere la mia fidanzata? Sì o No"! Poi "i bigliettini", un bigliettino in 5 anni di elementari da parte di Alessio, che mi piaceva così taaaaanto. Peccato che poi, anche se io avevo scelto il sì, una ragazzina di nome Marina me lo ha portato via. Diciamo che tra una bimba secca e occhialuta e una già con la quarta di reggiseno... Ecco, capisco la scelta ormonale di un ragazzino di 8 anni. È stata la prima volta che ho esperito la Friendzone. Poi da quel momento ha cominciato a succedermi talmente tanto spesso che, niente, ormai sono l'amica per eccellenza di tutti. La scheda comunque non ci racconta della storia d'amore di Nereia e Alessio, finita per colpa dell'ascensore ormonale che Alessio stava vivendo in quel momento, no. Ci dice che è la storia di Rachel e Andy che hanno 8 anni quando si incontrano (apperò, senza saperlo ci avevo quasi preso eh, con la mia storia d'amore finita in friendzone) in ospedale. Poi niente, passano gli anni, si rivedono e sbam! È amore. 
Alessio, te lo dico, me stai simpatico ma sei rimasto alto come quando avevi 8 anni. Facciamo che non ci rivediamo più eh e non facciamo scegliere l'amore, scelgo io che voglio uno almeno alto 190 cm. Grazie.

Per questa settimana purtroppo è tutto, mi dispiace che non ci siano copertine davvero degne di nota. Vi auguro una cavalcata selvaggia sulla testiera del divano della sala d'attesa del vostro medico curante! Abbraccioni.