sabato 23 novembre 2019

5 is megl che one #9 – ovvero 5 tipologie di libri che leggo in base alle emozioni



Il mio ritorno nella blogosfera è quasi passato inosservato, e di questo mi dispiaccio un po', ma è vero anche che non potevo pensare andasse diversamente, visto che sono stata assente due anni. Molte delle persone che mi leggevano avranno perso le speranze e, probabilmente, un salto da queste parti non ce lo fanno proprio più. Nonostante questo, vorrei tornare di tanto in tanto, perché mi è mancato molto scrivere e quello che riesce a darmi non è spiegabile a parole.
Oggi voglio regalare un'altra puntata alla mia rubrica preferita di questo blog – se potrà dire che è preferita, visto che l'ho inventata io? – e parlarvi delle 5 tipologie di libri che leggo in base al mio stato emotivo. Sembra una stronzata, come quasi tutte le cose che mi riguardano d'altronde, ma negli anni ho notato che dietro le mie scelte si nasconde uno schema ben preciso. 

1. Sotto a un treno.
Quando emotivamente sembra che mi sia passato sopra un tir carico di letame non mi va di fare niente. Non ho voglia di uscire, di parlare con la gente, di utilizzare i social, di cucinare. Non mi va nemmeno di andare al lavoro. Una delle cose che mi fa stare meglio è camminare: km e km di
camminate in silenzio, durante le quali parlo con me stessa. Molte delle decisioni più importanti della mia vita le ho prese camminando. In questi periodi mi risulta più facile chiudermi in casa – magari dopo 10 chilometri percorsi a piedi – a guardare serie tv o film. Ed è quello che faccio, ma soprattutto leggo. Ovviamente, però, è necessario scegliere il libro adatto al momento altrimenti c'è il rischio che venga abbandonato a pagina 30 prima di subito. 
Il libro adatto a mio umore "sotto a un treno" è, incredibile ma vero, un libro dalle tinte tristi. Non che debba narrare la storia di gente che se more de peste bubbonica e fame, già so' mezza depressa... No, con libro dalle tinte tristi intendo un libro potente, realistico, che mi tenga incollata alle pagine, che mi faccia ridere e piangere, che mi faccia riflettere. Un Malamud o uno Yates, per esempio. O Jane Eyre, grande classico (ma questo solo se ci troviamo in autunno, ma questa ve la spiego un'altra volta). Un libro letto quando stavo sotto un treno che mi ha conquistata è Non abitiamo più qui di Andre Dubus (qui), pubblicato da Mattioli 1885. 

lunedì 18 novembre 2019

Nereia vs Barcelona – Capítulo 4. – La scuola.



Vi avevo parlato del NIE e di che cosa è nel capitolo numero 2 (che potete trovare qui). Non vi ho spiegato, però, come ho fatto a ottenerlo visto che per avere il NIE serve un lavoro e per avere un lavoro serve il NIE e io, ovviamente, un lavoro vero non ce lo avevo mica.
Ho passato mesi a candidarmi a qualunque cosa: cameriera al ristorante cinese, barista all'autogrill, comparsa vestita da bacarozzo nelle pubblicità dei pesticidi, call center di finte società di gestione del capitale umano, segretaria personale dei papponi... Tutto. Se c'era un annuncio, c'era la mia candidatura. Inutile dire, appunto, che senza il NIE – che devi mettere nella tua pagina personale di infojobs – 'nte chiamano manco pe' tenè corsi di bolle di sapone con Billy Bolla, quindi venivo scartata per fare anche l'apriporta negli ascensori degli ospedali.
Una delusione mista a depressione che fermati. Avevo cominciato a pensare seriamente a candidarmi persino come colf, visto che passavo le mie giornate a pulire ossessivamente qualunque angolo della casa e stavo cominciando a trovarlo un hobby interessante.
Poi un giorno, eccolo: receptionista in una scuola di lingue, part time. Vabbè, sticazzi dico, ce provo. Mai fatto, ma manco mai m'ero vestita da nutria per passeggiare a Trastevere, eppure stavo valutando l'idea di mascherarmi da bacarozzo per la Bayer...

Mando la candidatura, certa che non m'avrebbero cagata neanche di striscio. E invece succede: me chiama una certa Lucía da Valencia, per dirmi che il lavoro non è pagato perché è uno stage. Mi dice, però, che con quello stage posso ottenere il NIE. Brutta stronzetta, lei lo sapeva che stavo nella cacca fino al collo e che dovevo per forza dirle sì e s'è giocata la carta del NIE. E vabbè, mi dico, intanto da qualche parte bisogna pur cominciare e mi convinco ad andare a fare il colloquio. Incredibilmente, Cecilia – che adesso è una mia amica – rimane colpita dalla mia totale mancanza di esperienza in merito e decide di darmi un'opportunità. 
La scuola – che adesso non esiste più ma questa è un'altra storia – distava 40 minuti a piedi da casa, aspetto che in quel periodo mi sembrava vitale, per cui me facevo 8 km a piedi al giorno per andare e tornare – senza alcun motivo apparente, peraltro, dato che avevo la metro sotto casa (ma proprio sotto eh, mica dico pe' dì). Ma non divaghiamo. Dicevo, la scuola era vicino casa – nella mia idea di vicinanza di quel periodo – e mi sembrava un'ottima occasione anche per conoscere gente nuova (e in effetti così è stato), uscire di casa e smettere di pulire pure le fughe delle mattonelle del bagno. Peccato che, una volta installata dentro l'organico – se vede che ho fatto le scuole alte – hanno preso a succedere cose strane. E con strane intendo strane veramente, non è che invento.