mercoledì 2 dicembre 2015

Lo zampino dell'autore #2


Buongiorno lettori!
Seconda puntata de Lo zampino dell'autore. Di già? Di già. Non capisco come sia possibile, ma non si dice che il tempo passa in fretta quando ci si diverte? Eh. E sarà che ci siamo divertiti, cosa posso dirvi. Il tempo passa sì davvero in fretta.
Per cui, dicevamo, seconda puntata di questa rubrica no sense che ha lo scopo di intervistare gli autori per conoscere meglio loro e il loro zampino. In fondo gli scrittori sono persone comuni, come noi, hanno abitudini comuni, indossano scarpe comuni e spesso fanno un altro lavoro. Oltre che scrivere libri, s'intende. Anche perché in Italia potresti morire di fame a mantenerti solo coi libri. E quindi, che particolarità ha questa rubrica? In realtà nessuna, solo che le domande cambiano ogni volta e spesso sono domande sceme, come me. 

Dopo la prima puntata (qui) con ospite Loredana Limone, ho deciso – probabilmente sopravvalutando le mie capacità di blogger e intervistatrice (soprattutto!) – di porre le mie stupide domande ad Alessandro Sesto, autore per Gorilla Sapiens Edizioni.
Per chi non lo conoscesse, Alessandro Sesto abita a Verona e indossa sempre magliette bellissime. Cioè, almeno quando l'ho visto io. Poi non so normalmente se indossa magliette brutte. Autore di Moby Dick e altri racconti brevi (qui recensione) e Lascia stare il La maggiore che lo ha già utilizzato Beethoven (di prossima lettura), è simpatico e boh, che dire, ha la faccia buffa. Sarà presente a Roma durante Più Libri Più Liberi, presso lo stand dell'editore e quindi, niente, passate a trovarlo. E anche a trovarmi, perché pure io starò lì, non sempre ma spesso.

Nereia: Prima di cominciare ti ricordo che qui, su questo blog e soprattutto all’interno di questa rubrica, puoi dire quello che ti pare e nel modo che ritieni opportuno. Sentiti quindi libero di rispondere, non rispondere, mandarmi a cagare.
Prima domanda. Qual è stato il momento in cui hai capito che ti sarebbe piaciuto scrivere un libro? Che ne so, pascolavi il cane al parchetto e hai ricevuto la chiamata. Magari hai avuto una di quelle epifanie come i personaggi di Joyce in Dubliners in momenti importanti (una partenza in nave, la rottura di un oggetto). Oppure volevi fare un dispetto alla tua insegnante di italiano del liceo (possibile, io gliene faccio uno ogni volta che scrivo su questo blog anche se lei non si ricorda neanche la mia faccia, probabilmente).
Alessandro: Ho sempre avuto questa debolezza di volere “scrivere un libro”, anche se capisco che scrivere libri è una cosa tutto sommato imbarazzante. Invecchiando si diventa più spudorati, e così a un certo punto, senza che accadesse nulla di particolare, ho ceduto. C’è di peggio, c’è chi scrive poesie.

Nereia: Come nasce l’idea di Moby Dick e altri racconti brevi? Si tratta di riflessioni che fai realmente nella vita? Cioè, passeggi per strada e ti ritrovi a domandarti quale è la giornata tipo di uno scrittore maledetto?
Alessandro: Ora che me lo fai notare mi rendo conto che non so a cosa penso mentre cammino. L’idea di Moby Dick e altri racconti brevi nasce da alcuni racconti un po’ ispirati a Vite degli Uomini Illustri di Campanile che sono piaciuti all’editore Gorilla Sapiens, che mi ha indotto a scriverne altri. Poi, il rapporto tra finzione narrativa e vita reale è uno dei miei soggetti preferiti.
Nereia: A proposito di questo, hai mai inserito, nei tuoi libri, cose successe realmente? O comunque ispirate a un evento, un dialogo, che è successo a te o al quale hai assistito?
Magari hai preso davvero qualcuno a pesciate in faccia (cfr. La vita come arte, pag 45 de Moby Dick e altri racconti brevi, nda).
Alessandro: Direi di no, forse qualcosa, ma pochissimo. Le poche volte che ci ho provato i fatti realmente accaduti sembravano più forzati e improbabili di quelli del tutto inventati, non so perché.

Nereia: Ricordo perfettamente quale è stato il primo libro che ho letto. Ne ricordo persino la copertina, oltre che avere bene presente il luogo dove mi trovavo quando l’ho cominciato. Si tratta de La carica dei 101, il romanzo però, non la versione della Disney. Aveva una copertina rossa, bruttarella, ma erano gli anni ’90, il senso estetico doveva ancora riprendersi dopo gli anni ‘80. Tu hai dei ricordi relativi a quando hai iniziato a leggere? Ricordi il primo libro o chi te lo ha regalato, comprato, prestato? 
Alessandro: Non ricordo il primo in assoluto, ma forse tra i primi il preferito era Il Casello Magico di Norton Juster, un libro che parla del viaggio di un bambino in un paese abitato da personaggi allegorici. Il libro è tipo una Flatlandia per bambini, e soddisfaceva il desiderio, che ho ancora, di scherzare con le astrazioni. Invece, per dire, Peter Pan mi stava antipatico. Non sembrava uno a posto come quelli della Via Pal, e a posteriori potrei dire che stavo incubando il mio fastidio per egomaniaci, mistici, carismatici e uomini che indossano la calzamaglia. 

Nereia: Vorrei adesso chiederti il parere su una di quelle certezze su cui si fonda il nostro bagaglio culturale. Credo si tratti di una certezza tipicamente italiana, ma forse potremmo pensare sia condivisa anche dagli spagnoli, dai greci, magari dai turchi. Ho sempre sentito dire “donna baffuta sempre piaciuta”. Come ti schieri in merito?
Hai avuto tu stesso esperienze con donne baffute o hai conosciuto uomini con un debole per i baffi nelle donne? 
Alessandro: No e no. Non so come si sia diffusa quella locuzione, magari c’è dietro un cartello di donne baffute con un formidabile ufficio propaganda, ma è falsa. Non solo il baffo nelle donne è inammissibile, ma anche apprezzarlo è inammissibile.
È vero che, non temendo smentite perché nessuno mi si incula, in Moby Dick e altri racconti brevi dopo accurata esegesi ho insinuato che a Tolstoj il baffo piaccia, ma lui è, appunto, Tolstoj. Se uno non ha scritto Guerra e Pace e vuole il nostro rispetto, deve confinare la sua ammirazione a donne dal labbro glabro.

Nereia: Jeans corto, alla caviglia, infradito d’estate e orrido mocassino d’inverno. Senza calzini, mai. Una moda che ormai ha preso piede ovunque – purtroppo. Tu che ne pensi? Secondo te si ispira a Sampei?
Alessandro: Mah. Non mi intendo affatto di moda, ma fare terminare un pantalone alla caviglia mi sembra irragionevole. Intendo, ormai è quasi arrivato, è come fermarsi a un passo dal traguardo. Quanto ai calzini poi, è un peccato. Pensa se l’inventore dei calzini potesse vederci senza calzini in inverno, crederebbe che siamo regrediti a causa di qualche calamità. 

Nereia: Torniamo, per un attimo, alle domande serie. L’ultimo tuo libro è Lascia stare il La maggiore che lo ha già usato Beethoven e che, potremmo riassumere, racconta la storia di una band di provincia. Io non ho mai suonato o cantato, ma frequentavo un gruppo di persone che suonava in una band di paese. Band che, in quanto sfigata, è morta proprio così com’è nata. L’argomento, quindi, lo reputo molto vicino a me. Lo è anche per te perché, magari, c’è qualcosa di autobiografico?
Hai mai suonato in una band che si riuniva in qualche garage per fare le prove, magari con un cantante stonato? Il cantante del gruppo dei miei amici era stonato. Simpatico eh, ma stonato. 
Alessandro: Personaggi e vicende del libro sono inventati, e la band serve a dare una forma narrativa alla proposizione, ironica e del tutto senza pretese, di alcuni dilemmi relativi alla filosofia della musica, o dell’arte in generale, dilemmi che sono, per me, il tema dominante del racconto. Poi, per descrivere l’ambiente in cui agiscono i protagonisti, ho attinto alla mia esperienza personale, avendo suonato malamente per anni in diverse rock band della mia città. 

Nereia: Hai la possibilità di fare un unico viaggio nel tempo. Che epoca scegli e perché? A me piacerebbe andare a casa di Vittorio Alfieri per convincerlo ad andare a donne piuttosto che legarsi alla sedia per studiare. 
Alessandro: Ma a me risulta che Alfieri con le donne si dava già parecchio da fare, anzi se lo visiti magari ci scappano avventura extratemporale e ode “A Nereia che Librangolo Acuto feo”. Io andrei nel futuro, così scopro se verremo ricordati come “quei coglioni che leggevano i gialli nordici”. Scherzi a parte, il futuro mi incuriosisce più del passato. 

Nereia: Ultima, importantissima e soprattutto difficilissima domanda. Altezza mezza bellezza e nella botte piccola c’è il vino buono, frasi di circostanza che però fanno discutere. L’altezza è mezza bellezza, siamo d’accordo, ma sei poi hai la faccia romboidale? La metà bella viene annullata dalla metà cesso. E poi in questa botte magari il vino è buono davvero ma è poco. Se siamo a tavola in quattro, magari qualcuno resta col bicchiere vuoto. Non so, tu che ne pensi? 
Alessandro: Veramente penso che il rombo, se intendi esagono visto che le fronti puntiformi sono rare, sia ok. Per dire Jennifer Anniston ha una faccia esagonale, mi pare. Facce a esagono, ovale e rettangolo non hanno problemi, cerchio e triangolo sono confinate al ruolo di confidente, o amico buffo dell’eroe, gli altri poligoni stanno nei circhi e sugli almanacchi dei poeti. 

Nereia: Grazie per esserti prestato a questa baggianata, sei sempre molto serio e professionale. Abbraccioni e virili pacche sulla spalla Alessandro, ci vediamo presto a Più Libri Più Liberi! 
Alessandro: Certo, molto professionale. Grazie mille a te Irene, a tra pochissimo in fiera! 

Prima di andare via, Alessandro ci lascia il suo zampino e un bel pezzo del pavimento del suo ufficio (certo però che non è proprio un pavimento meraviglioso...).


Alla prossima puntata de Lo zampino dell'autore, vi auguro un mese di cantanti stonati e... donne baffute!

4 commenti:

  1. Che ve lo dico a fare? Braviiiiiii Clap Clap Clap!!

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    1. Ahahaha c'è anche motivo di incoraggiamento? xD Direi di no :P Siamo due deficienti xD xD

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  2. Sempre bellissime le tue domande, brava! Ora però sono tristissima perché mi piacciono i gialli nordici... ;-p

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    1. Di questa cosa dovresti parlarne direttamente con Sesto xD vi metto in contatto?

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