lunedì 18 novembre 2019

Nereia vs Barcelona – Capítulo 4. – La scuola.



Vi avevo parlato del NIE e di che cosa è nel capitolo numero 2 (che potete trovare qui). Non vi ho spiegato, però, come ho fatto a ottenerlo visto che per avere il NIE serve un lavoro e per avere un lavoro serve il NIE e io, ovviamente, un lavoro vero non ce lo avevo mica.
Ho passato mesi a candidarmi a qualunque cosa: cameriera al ristorante cinese, barista all'autogrill, comparsa vestita da bacarozzo nelle pubblicità dei pesticidi, call center di finte società di gestione del capitale umano, segretaria personale dei papponi... Tutto. Se c'era un annuncio, c'era la mia candidatura. Inutile dire, appunto, che senza il NIE – che devi mettere nella tua pagina personale di infojobs – 'nte chiamano manco pe' tenè corsi di bolle di sapone con Billy Bolla, quindi venivo scartata per fare anche l'apriporta negli ascensori degli ospedali.
Una delusione mista a depressione che fermati. Avevo cominciato a pensare seriamente a candidarmi persino come colf, visto che passavo le mie giornate a pulire ossessivamente qualunque angolo della casa e stavo cominciando a trovarlo un hobby interessante.
Poi un giorno, eccolo: receptionista in una scuola di lingue, part time. Vabbè, sticazzi dico, ce provo. Mai fatto, ma manco mai m'ero vestita da nutria per passeggiare a Trastevere, eppure stavo valutando l'idea di mascherarmi da bacarozzo per la Bayer...

Mando la candidatura, certa che non m'avrebbero cagata neanche di striscio. E invece succede: me chiama una certa Lucía da Valencia, per dirmi che il lavoro non è pagato perché è uno stage. Mi dice, però, che con quello stage posso ottenere il NIE. Brutta stronzetta, lei lo sapeva che stavo nella cacca fino al collo e che dovevo per forza dirle sì e s'è giocata la carta del NIE. E vabbè, mi dico, intanto da qualche parte bisogna pur cominciare e mi convinco ad andare a fare il colloquio. Incredibilmente, Cecilia – che adesso è una mia amica – rimane colpita dalla mia totale mancanza di esperienza in merito e decide di darmi un'opportunità. 
La scuola – che adesso non esiste più ma questa è un'altra storia – distava 40 minuti a piedi da casa, aspetto che in quel periodo mi sembrava vitale, per cui me facevo 8 km a piedi al giorno per andare e tornare – senza alcun motivo apparente, peraltro, dato che avevo la metro sotto casa (ma proprio sotto eh, mica dico pe' dì). Ma non divaghiamo. Dicevo, la scuola era vicino casa – nella mia idea di vicinanza di quel periodo – e mi sembrava un'ottima occasione anche per conoscere gente nuova (e in effetti così è stato), uscire di casa e smettere di pulire pure le fughe delle mattonelle del bagno. Peccato che, una volta installata dentro l'organico – se vede che ho fatto le scuole alte – hanno preso a succedere cose strane. E con strane intendo strane veramente, non è che invento. 

Uno dei miei compiti era aprire la scuola al pubblico prima che arrivasse Marta, la manager della scuola – già questa è una cosa strana, perché io ora ce so' amica di Marta e pensarla adesso come mia capa me fa ride un bel po' – accendere le luci (che non si sa perché dovevano essere spente dal contatore generale tutte le sere), accendere i computer e aspettare studenti e professori. E sarebbe stato tutto ok se non fosse che nella scuola c'era un'invasione di cucarachas – scarafaggi grossi e rossi che volano, corrono e saltano e riescono a farlo tipo contemporaneamente – e che io, la mattina, dovevo percorrere un corridoio lunghissimo e buio prima di raggiungere il contatore generale.
La scena era imbarazzante e si svolgeva più o meno così tutte le mattine:
Io che lotto contro le cucarachas.
"Apri la porta, prendi il telefono, accendi la torcia, illumina il corridoio per controllare la presenza di eventuali mostri. Eccoli: stanno avanzando inesorabilmente verso di te, urli per farti coraggio e corri, corri urlando illuminando il pavimento perché anche solo pestarle ti fa venire la pelle d'oca, accendi le luci e prendi la scopa, sbatti la scopa forsennatamente su qualunque cosa si metta in mezzo tra te e la porta d'uscita, urlando cerchi di fare più morti e feriti possibili. Alla fine, spingi i cadaveri e i morenti verso il marciapiede, urlando e piangendo contemporaneamente".
Ecco, questa scena si ripeteva tutti i giorni, con piccole variazioni che riguardavano solo le tonalità dei miei vocalizzi. 

Il tutto era reso ancora più assurdo dal fatto che alle cucarachas piace un sacco l'umidità – ed è il motivo per cui d'estate te le trovi un po' ovunque – peccato però che ho cominciato lo stage a ottobre e il caldo/umido quella scuola non l'ha mai visto neanche d'estate. Si trovava in un locale che forse prima, considerando la fune attaccata al soffitto e rimasta penzolante e impolverata per chissà quanti anni, era una palestra ricavata da un'officina meccanica. O da un ritrovo per tossici (più probabile). 
Pavimento mezzo rotto, ricoperto di tappeti – i quali hanno più volte attentato alla mia vita causando inciampi nell'aria degni di un trapezista – perché sennò pareva brutto nei confronti degli studenti, bagno degli invalidi chiuso a chiave e rinominato "la stanza degli orrori" perché otturato, con diversi esseri ex-viventi imprigionati dentro e base principale della gang di cucarachas che lì discuteva le strategie dei piani d'attacco, zero riscaldamento, impianto elettrico imbarazzante che se accendevi una stufa saltava via la corrente, ambiente poco confortevole e molto pressappochista. 
Ottenuto il NIE avrei potuto ringraziare e andarmene e, invece, qualcosa mi tratteneva. Non era di certo per l'arredamento da film dell'orrore o per i non soldi che restavo, era per le persone, era per l'ambiente, era perché, in fondo, mi divertivo un sacco.

Le persone, dicevo. Di tutte le persone che popolavano la scuola, forse la più equilibrata ero io, che me sentivo Ken il Guerriero tutte le mattine. Pensate a come dovevano esse gli altri.
Cose strane che diceva Jake.
Gli insegnanti, tutti stagisti – e anche questo meriterebbe un capitolo a parte insieme al motivo per
cui la scuola non esiste più –, avevano tutti più o meno tra i 22 e i 25 anni e nessuno parlava uno spagnolo comprensibile tranne Jake, l'head teacher. Jake, 31 anni, mezzo inglese e mezzo americano era il ritratto del disagio: sociopatia latente, leggera dipendenza dall'alcol, tendenzialmente misantropo, diceva cose imbarazzanti – soprattutto a me – sempre e solo in presenza di sconosciuti:

Passante: - Hola, buenos días.
Io: - Hola. En qué puedo ayudarla?
Passante: - Quería informaciones sobre los cursos, los precios... Ya tengo un B2 de inglés, quería hacer un poco de conversación.
Io: - Claro, le enseño como funciona la escuela.
Jake: - Irene?
Io: Yes, Jake? - mentre cerco la brochure.
Jake: - You smell like roses.
Io: - Ok, thank you. Señora, aquí lo tiene todo.

E le stranezze di questo tipo erano all'ordine del giorno, soprattutto se nella stessa stanza c'erano tutti gli insegnanti insieme (5 + io, Marta e l'altra receptionista):

Io: - Guys, I'm going to get a coffee. Is anyone interested?
Jake: - Is it a date? Because if it is, I'm not interested.
Io: - Ok.
Marta: - Sì, prendilo a me.
Io: - Ok, per te macchiato.
Jake: - You're so lovely, come here. I want to hug you.

Le stranezze raggiungevano vette di imbarazzo che neanche se fossi andata in giro per strada solo in mutande:

Jake: - Irene, quieres sentir?
Io: - Qué? - sguardo di circostanza.
Marta: ... - silenzio di circostanza.
Jake: - Qué vas a sentir? El culo!
Io: - Ok... No, Jake, gracias pero no.
Marta: - Yo me voy que me parece que soy un mal tercio. (* terzo incomodo, nda)
Jake:- Hey, girls, calm down. Just asking if she wanna sit down.
Io: - Ok, you asked me if I wanna "feel" your ass.
Jake: ...
Marta: ...
Io: - Ok, I want a coffee. - Sipario.

Passante: - Hola, una pregunta.
Io: Sí, dime.
Passante: Hacéis también cursos de italiano?
Jake: - I hate Italians.
Io: - Ok, Jake, thank you. 
Jake: - Italian and Spanish are basically the same language. Why should you spend money to...
Io: - That's enough. I don't want to talk to you about this right now.
Jake: - Fair enough. Anyway, I hate people too.
Io: - Ok, very nice Jake. Perdona, es un chico un poco especial.

Io, su whatsapp: - Hola Jake, mañana tienes clase con Pilar.
Jake: - Never told you you're like a unicorn?
Io: - What does it suppose to mean?
Jake: - You're one of a kind. You're lovely, with everybody. I could never hate you.
Io: - Thank you, Jake.
Jake: - See you tomorrow, don't know If I wanna see Pilar.
Io: - Jake, tomorrow, at 10. With Pilar.
Jake sta scrivendo. Sta scrivendo. Sta scrivendo. Sta scrivendo. Sta scrivendo.
Jake: Ok.

Non sono rimasta in questa scuola per molto, presto il bisogno di soldi si è fatto pressante e ho dovuto abbandonare Marta, Jake e le cucarachas per andare in un fantastico call center ubicato a Monculo – e anche questa è un'altra storia. Quello che ricordo con piacere, però, è che non ho fatto neanche in tempo ad andarmene prima che la stranezza di Jake arrivasse a livelli veramente preoccupanti.
Mercoledì notte, orario imprecisato tra le 00.30 e l'1. Messaggio su whatsapp. Jake. 

Ok.
Jake: - Wold you like to see my penis?
Io: - Are you crazy?
Jake sta scrivendo. Sta scrivendo. Sta scrivendo. Sta scrivendo.
Jake: - Sorry about that. Could you please forget this message?
Io: - Ok, Jake. But, could you please explain to me what's wrong with you?
Jake: - I'm with a friend. He's drunk.
Io: - Goodnight Jake.
Jake sta scrivendo. Sta scrivendo. Sta scrivendo. Sta scrivendo.
Jake: - Sorry. Bye.

Di Jake nessuno ha più notizie. Era il classico tipo che ti diceva "ci vediamo lì, vi raggiungo con la bici" e poi non si presentava, lasciando i malcapitati ad aspettarlo per ore. Era il tipo di persona che doveva arrivare al lavoro alle 10 e si presentava all'1, senza nessuna scusa apparente. Mangiava panini di Subway 4 volte al giorno, andava in giro in canottiera in pieno gennaio. Chissà che fine ha fatto Jake, sarà andato a rendere imbarazzante la vita e le giornate di qualcun altro. Jake non leggerà mai questo post, ma se qualcuno che lo conosce dovesse farlo, che gli dica che quel messaggio io non l'ho dimenticato, la gente a cui ho mandato lo screenshot nemmeno. E da oggi, neanche voi lo dimenticherete tanto presto.

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