Titolo: Pesca al salmone nello Yemen
Prezzo: 16.50 €
Editore: Elliot
Pagine: 256
Il mio voto: 3 segnalibri e mezzo
Prezzo: 16.50 €
Editore: Elliot
Pagine: 256
Il mio voto: 3 segnalibri e mezzo
Trama
Alfred Jones, un oscuro e timido ittiologo londinese che lavora per
l’ente statale di tutela della pesca, viene incaricato da un ricchissimo
sceicco yemenita di collaborare al progetto di introdurre il salmone
tra le aride montagne dello Yemen. Alfred, consapevole dell’assurdità
del progetto in questione, all’inizio rifiuta, ma poi viene esortato ad
accettare l’incarico – pena il rischio di licenziamento – dai suoi
superiori, e quindi addirittura dal portavoce del primo ministro
inglese, convinto in questo modo di poter sviare l’attenzione
dell’opinione pubblica dalle tensioni della guerra in Iraq.
Così Fred viene trascinato controvoglia in quest’impresa bizzarra e
apparentemente impossibile insieme al carismatico e visionario sceicco e
alla sua giovane assistente Harriet. È solo l’inizio di una serie di
avventure e disavventure esilaranti e tragicomiche che lo vedranno
protagonista tra politici spregiudicati, terroristi islamici,
nazionalisti scozzesi, pescatori lobbisti e dubbi sentimentali: Alfred,
infatti, partirà per lo Yemen lasciandosi alle spalle un noioso
matrimonio senza amore e molte delle certezze che lo hanno guidato fino a
quel momento della sua vita.
La mia recensione
Ciak, si gira. Nello Yemen!
Non conoscevo Paul Torday il quale, invece, pare sia parecchio affermato in Inghilterra, suo Paese d'origine. Terminata la lettura ho subito fatto qualche ricerca e ho notato, con immenso piacere, che la Elliot ha pubblicato diversi suoi libri che, manco a dirlo, sono tutti stati inseriti (immediatamente!) nella mia lista desideri, ormai talmente lunga da occupare ben 15 pagine su aNobii.
Ma, nonostante questo, ero praticamente certa che nello Yemen non ci fossero allevamenti di salmoni, né che la pesca di questi fosse anche solo possibile. E, da un certo punto di vista, avevo ragione. Prima, chiaramente, di incontrare l'ittiologo Fred Jones e lo sceicco dal nome impronunciabile Muhammad ibn Zaidi bani Tihama.
Paul Torday ci racconta una storia stramba, ai limiti del paradossale, e lo fa con una ventata di puro humor britannico. Umorismo che rimane però leggero, delle volte appena percepibile e che non regala mai una vera e propria risata ma, più che altro, un timido sorriso. L'argomento, infatti, viene trattato con molta serietà ed è sempre più chiaro, pagina dopo pagina, che l'autore ha compiuto diverse ricerche anche approfondite prima di scrivere questo libro. Ma non preoccupatevi, l'autore ha pensato proprio a tutto, compreso un piccolo glossarietto, accurato e divertente, dedicato a chi, come me, non sa proprio nulla della pesca.
Punto di forza del romanzo è la sua struttura narrativa: particolare, originale e ben curata, permette alla storia di ingranare subito e di farci arrivare, in poco più di mezz'ora, a leggere oltre le cinquanta pagine.
Il progetto che dà il nome al libro viene raccontato al lettore prima attraverso le pagine del diario personale di Fred, poi dalle lettere di Harriet, dallo scambio di mail tra l'ENPI (Ente Nazionale per la Tutela e lo Sviluppo del Patrimonio Ittico) e il Ministero dell'Ambiente e dell'Agricoltura. Seguiamo il progetto, passo dopo passo, dalla sua ideazione fino alla sua concreta, ma non priva di ostacoli, realizzazione.
Non sembra, infatti, essere un comune romanzo. È come se si trattasse, invece, di una scenografia.
Pesca al salmone nello Yemen è nato per essere un film. E, infatti, lo è diventato. Tutto, ma proprio tutto, sembra essere stato creato per essere poi trasmesso sul grande schermo. I personaggi e le loro caratteristiche sia fisiche che di personalità, la loro vita privata, le loro azioni e il loro grado di coinvolgimento, persino le ambientazioni. Tutto è stato ideato, creato e scritto per essere, successivamente, reso un film.
Un romanzo leggero e frizzante che, attraverso diversi punti di vista, non solo racconta la storia di un uomo e del suo matrimonio ma che, forse un po' ingenuamente, lancia anche un messaggio di speranza, di fede. Fede, però, non intesa come fede prettamente religiosa ma, piuttosto, intesa come fiducia. Negli altri e nel mondo ma, soprattutto, in se stessi e nelle proprie capacità. Un messaggio che può forse apparire leggermente banale, ma non per questo spiacevole o scontato: "ci credo, perché è impossibile".
Un invito, in altre parole, a cercare di dare sempre il meglio di noi stessi, anche quando tutto sembra andare per il verso sbagliato.
Punto di forza del romanzo è la sua struttura narrativa: particolare, originale e ben curata, permette alla storia di ingranare subito e di farci arrivare, in poco più di mezz'ora, a leggere oltre le cinquanta pagine.
Il progetto che dà il nome al libro viene raccontato al lettore prima attraverso le pagine del diario personale di Fred, poi dalle lettere di Harriet, dallo scambio di mail tra l'ENPI (Ente Nazionale per la Tutela e lo Sviluppo del Patrimonio Ittico) e il Ministero dell'Ambiente e dell'Agricoltura. Seguiamo il progetto, passo dopo passo, dalla sua ideazione fino alla sua concreta, ma non priva di ostacoli, realizzazione.
Non sembra, infatti, essere un comune romanzo. È come se si trattasse, invece, di una scenografia.
Pesca al salmone nello Yemen è nato per essere un film. E, infatti, lo è diventato. Tutto, ma proprio tutto, sembra essere stato creato per essere poi trasmesso sul grande schermo. I personaggi e le loro caratteristiche sia fisiche che di personalità, la loro vita privata, le loro azioni e il loro grado di coinvolgimento, persino le ambientazioni. Tutto è stato ideato, creato e scritto per essere, successivamente, reso un film.
Un romanzo leggero e frizzante che, attraverso diversi punti di vista, non solo racconta la storia di un uomo e del suo matrimonio ma che, forse un po' ingenuamente, lancia anche un messaggio di speranza, di fede. Fede, però, non intesa come fede prettamente religiosa ma, piuttosto, intesa come fiducia. Negli altri e nel mondo ma, soprattutto, in se stessi e nelle proprie capacità. Un messaggio che può forse apparire leggermente banale, ma non per questo spiacevole o scontato: "ci credo, perché è impossibile".
Un invito, in altre parole, a cercare di dare sempre il meglio di noi stessi, anche quando tutto sembra andare per il verso sbagliato.
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