mercoledì 27 febbraio 2013

Ciarlando allegramente di... #1

Oh, ma quante piccole rubrichette sto inventando, eh? Certo, sono tutte inerenti alle recensioni ma, in fondo, parlo praticamente solo di libri e quindi c'era da aspettarselo. Ciarlando allegramente di..., in realtà, è semplicemente un nuovo tipo di recensione, così come lo è Francamente me ne infischio. Solo che, mentre con Francamente me ne infischio do spazio all'acidità che mi caratterizza, Ciarlando di... riguarderà quei libri che, per un motivo o per un altro, non riesco a recensire in modo approfondito. Le puntate potranno riguardare un solo libro oppure più di uno, a seconda di quanto ho letto (ormai tristemente poco, sob).
Oggi voglio parlarvi di di La morte del cuore di Elizabeth Bowen e di Charlie and the Chocolate Factory di Roald Dahl.

La morte del cuore, romanzo scritto da Elizabeth Bowen nel 1938, è edito da Neri Pozza che ne ha pubblicato la ristampa ad Ottobre del 2012. Il libro si aggiudica l'etichetta di Perduti & Ritrovati perché, oltre ad essere sconosciuto ai più, è stato prima pubblicato da Le Tartarughe e abbandonato al suo triste destino di libro a cui non è stata dedicata attenzione. Si tratta della storia di Portia, figlia di un uomo al suo secondo matrimonio, che rimasta orfana si ritrova a dover vivere insieme al fratellastro, Thomas, e a sua moglie, Anna. Sebbene, inizialmente, il lettore avrà l'impressione che quella sia la storia di Anna e Thomas, costretti a ospitare una persona poco gradita nella loro casa, passate le prime cento pagine, l'attenzione della Bowen si sposta per concentrarsi sulle vicende che riguardano Portia in prima persona.
All'inizio del romanzo odiavo Portia. Sul serio, un odio profondo e viscerale giustificato dalle sue azioni e dalla povertà dei suoi sentimenti. Dannazione, cara, esprimiti! Arrabbiati, piangi, ridi, fai qualcosa! Invece no. Portia si adagia sulle situazioni con una mancanza di carattere da far rabbrividire perfino i passanti. Cribbio, hai sedici anni, d'accordo, hai perso la mamma e il papà e d'accordo anche qui. Ma tutto ciò non giustifica la completa alessitimia (dicesi alessitimia l'incapacità di provare emozioni). C'è da dire che la Bowen si serve del narratore onnisciente in maniera un po', passatemi il termine, "accademica". Sta lì e guarda tutti dall'alto, spesso descrivendo esclusivamente le azioni senza condirle di sentimento, passione. Poi, ad un certo punto, tutto cambia quando Portia si reca in vacanza a Waikiki. Lì ecco che, finalmente, i suoi sentimenti per Eddie (imparerete a odiare anche lui) si palesano e il lettore comincerà a provare una sorta di tenerezza per Portia, per la sua ingenuità, per la sua immaturità. In alcuni punti del romanzo sono stata salvata solo dalla consapevolezza di trovarmi in metropolitana rendendomi conto che, forse, la scelta di gettare il libro per terra, saltarci sopra con veemenza riempiendo Eddie di osceni turpiloqui, non era poi così saggia. Qualche parolaccia, però, mi è sfuggita comunque. Non so dare un voto preciso a questo libro perché è un romanzo freddo, distaccato, riflessivo. Le descrizioni, che rasentano l'ossessività, appesantiscono il testo ma non la storia. Suvvia, facciamo un 3 e mezzo su 5. Ad ogni modo, scritto e tradotto con immensa maestria. Chepeau.

Charlie and the Chocolate Factory è il primo libro che leggo in inglese. No, ok, non è proprio il primo primo. Il primo fu la versione scolastica de I delitti della rue Morgue del caro amico Edgar Allan Poe, seguito poi da alcuni racconti di Dubliners che, onestamente, non ho per nulla apprezzato. Anzi, li ricordo anche con non dico disprezzo ma, ecco, quasi. Veniamo a noi!

Se state cercando un buon modo per iniziare a leggere qualcosa in inglese, questo libro fa al caso vostro. La storia, praticamente, la conosciamo tutti anche per merito dei film che ne sono stati tratti. Questo facilita molto le cose perché, sebbene durante la lettura abbia incontrato delle parole di cui non conoscevo il significato, grazie al fatto di sapere a memoria la storia ho comunque capito che significato avevano quelle parole. Ammetto, comunque, di essermi servita del dizionario, qualche volta. Cosa più o meno necessaria quando non si conoscono i nomi degli attrezzi da cucina. Insomma, d'accordo, guardo le serie tv... Ma in nessuna serie tv parlano mai di mestoli!
Ho iniziato da Charlie and the Chocolate Factory perché non avevo avuto modo, ancora, di leggerlo in italiano. Onestamente non so bene il perché. Così, quando mia sorella mi ha presentato questa versione dalle pagine ingiallite ho colto l'occasione.
Iniziato circa un anno fa subito dopo aver preso parte ad un colloquio in Eni (ebbene sì, ho fatto un colloquio in Eni e sono stata eliminata in finale), l'ho poi abbandonato in un angolo a prender polvere. Scoraggiata dalla lentezza disarmante con la quale avevo letto le prime 30 pagine mi sono convinta che no, la lettura in lingua era una cosa per la quale non ero affatto portata. O meglio, la lettura in lingua di libri. Perché con gli articoli scientifici di psicologia, letti per scrivere la tesi sia della triennale che della magistrale, non avevo riscontrato particolari problemi. Poi, non so, il colloquio in Eni, all'inizio, mi aveva convinta a provarci. Lo psicologo con il quale ho fatto il colloquio, un ragazzo di cui credo ricorderò il nome e cognome a vita perché era davvero una bella persona, mi aveva incoraggiata. Non superare la finale (la chiamo così perché, effettivamente, il colloquio in Eni mi è sembrata una delle dodici fatiche di Eracle, considerata pure la durata 9.30 del mattino-5.30 del pomeriggio) mi ha riportato, invece, alla dura realtà. Sono seguiti giorni di sconforto e depressione, conditi da frasi della serie "Nereia, torna ai libri in italiano che tanto non è roba tua".  E poi, non so, l'ho semplicemente ripreso in mano. E ne sono felice. Non solo perché è un libro veramente bello, ma anche perché è semplice e veloce da leggere. Ovviamente per me Willy Wonka ha ormai le sembianze di quel figo di Depp e questo, credetemi, non è affatto un male. xD
Insomma, io ve lo consiglio. In inglese, naturalmente. Poi oh, fate vobis.

5 commenti:

  1. Sai che quel libro non l'ho mai letto? Ho visto il film, il più recente ma non mi ha convinto - non è colpa della storia, sono scettico sugli ultimi lavori di TB.

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    1. Li ho visti entrambi e mi sono piaciuti tutti e due, anche se per motivi diversi. La fabbrica di cioccolato è forse l'ultimo di Burton davvero riuscito. Alice non mi è piaciuto (a parte i colori e i costumi) e nemmeno Dark Shadows (tremendamente brutto). Il libro è carinissimo, dagli una chance ;)

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  2. La morte del cuore ce l'ho da un po', e mi attira tantissimo ma non ho ancora trovato il momento giusto per lui. Se avessi detto che meritava il massimo dei voti, forse avrei immediatamente iniziato a leggerlo. Per ora lo lascio in attesa.
    La fabbrica di cioccolato l'ho letto in età adulta e mi ha aiutato a conoscere Dahl che, fino ai 30 anni, avevo del tutto ignorato

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    1. È un romanzo lento, si sente molto che è stato scritto nel 1938. Certamente, però, non è una lettura estiva. Ti sconsiglio vivamente di portalo in vacanza e leggerlo sotto l'ombrellone. Non si presta assolutamente a essere letto con uno stato d'animo spensierato. Forse, se vai in montagna allora sì, seduta sotto il portico dello chalet puoi dargli una chance anche d'estate. ;)

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    2. Ok, grazie per la dritta ;)
      ma i romanzi neri pozza solitamente non li prendo mai in considerazione per letture spensierate, anzi! però il genere che pubblica incontra sempre la mia approvazione :)

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