giovedì 27 novembre 2014

Ciarlando allegramente di... #11

È il caso che ammetta di avere quasi trent'anni e di non essere più il giaguaro di una volta. Non che io sia mai stata ginnica o abbia mai avuto una prestanza fisica alla olio Cuore, sia chiaro. Potrei affermare, con quasi un po' d'orgoglio, di essere nata già vecchia dal punto di vista fisico. Certo, tra i diciotto e i venticinque anni ho fatto il mio mucchietto di ragazzate (ma 'sto termine lo usa qualcuno sotto i settant'anni, oltre a me s'intende?) che includevano notti brave, ore piccole e tanta altra roba di questo tipo, ma sempre nella giusta dose. Cioè, non che lo facessi ogni settimana, ecco. Poi, niente, raggiungi i ventinove anni e boh, il tracollo fisico ti sorprende così, da un giorno all'altro. E quindi vi scrivo dalla mia polverosa, semibuia e incasinata postazione in preda a un malessere generale che non so manco io da dove viene. Ma ho la tisana con me, un termometro (non so se serve ma lo tengo lì), un paio di bustine di Riopan Gel (eh, la gastrite è un regalo di quelle notti brave mi sa) e tantissime altre cose che si divertono a sostare sulla mia scrivania senza apparente motivo (penne, matite, un'agenda del 2013, quaderni, fazzoletti, una collana, cuffiette rotte, un elastico per capelli, mucchietti di polvere).
Quindi, sono qui per parlarvi di Manuale di danza del sonnambulo di Mira Jacob, di prossima pubblicazione per Neri Pozza (ormai lo sapete, lo dico sempre, ho pure messo l'immaginetta in basso a sinistra, faccio parte del Neri Pozza Bookclub ed è per questo che ricevo alcuni volumi di prossima pubblicazione da leggere e recensire in anteprima. Lo dico ché, insomma, non si sa mai).

Non sono certa di ciò che sto per scrivere, semplicemente perché Manuale di danza del sonnambulo è un libro strano. Strano in senso positivo però. 
Senza pensarci troppo, così su due piedi, mi verrebbe da dire che questo è un romanzo che parla di attaccamento. Attaccamento alle proprie radici, alla propria cultura, ai propri affetti, alla propria famiglia, alla vita. 
Scritto in maniera deliziosa, Manuale di danza del sonnambulo affronta temi molto attuali come la morte – presente fin dall'inizio del romanzo –, l'amore per la propria terra e le proprie origini, il desiderio di sentirsi parte di qualcosa, la solitudine.
Protagonista del romanzo è la famiglia Eapen, che si trasferisce dall'India al New Mexico alla fine degli anni '70, portando con sé una buona dose di "indianità". Be', sulla carta la protagonista del romanzo è la famiglia Eapen perché, per me, è come se questo libro parlasse di "Amina e la sua famiglia". Non so spiegare bene perché, ma la sensazione che ho avuto fin dalle prime pagine e che mi sono portata dietro fin quando non ho letto l'ultima pagina, è che la storia sia narrata sì in terza persona, ma attraverso gli occhi di Amina. Amina è travolgente, apprensiva, dolce, a volte forse un po' insicura ma così ben delineata che l'unico aggettivo che mi viene in mente per descriverla è "bella". Amina è decisamente bella, e non nel mero senso del termine, lei è bella dentro ma non è consapevole di esserlo.
Mi scuso per l'entusiasmo che non mi permette di essere non solo oggettiva, ma anche capace di scrivere qualcosa dotato di senso ma devo essere onesta, credevo fosse un altro tipo di romanzo. Mi aspettavo di leggere un romanzo che trattasse le diversità culturali che condizionavano, nel bene e nel male, la vita dei protagonisti; mi aspettavo di trovare, forse, una sorta di romanzo di formazione, fortemente influenzato dalle difficoltà di sentirsi indiani in America. Mi aspettavo di trovarvi, all'interno, delle forti crisi d'identità che rendevano questo un libro sul fenomeno dell'immigrazione. Con mia grande e piacevole sorpresa, invece, non è stato così.   
Ho letto con piacere queste cinquecento pagine e il merito va soprattutto alla bravura della Jacob che ha saputo caratterizzare molto bene i personaggi, utilizzando una cura al dettaglio così minuziosa da sfiorare quasi l'ossessione. Ho trovato molto interessante e ben utilizzata la scelta di parlare del cibo per narrare dell'India e per descrivere Kamala, la madre di Amina. Kamala è il personaggio che, dopo Amina, mi ha colpito di più. Attraverso il cibo esprime se stessa e le proprie emozioni – letteralmente – utilizzandolo come offerta di pace dopo un litigio, cucinando sia nei momenti tristi che in quelli particolarmente felici, usufruendone per colpire qualcuno che l'ha fatta arrabbiare.
Una lettura piacevole e sorprendente, un libro che mi sento caldamente di consigliare.

E bon, basta, questo è un libro bello. Punto. E io i libri belli non li so recensire, lo sapete già. Non a caso sono specializzata in libri brutti.

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