giovedì 10 marzo 2016

Questione di incipit #1


Buongiorno!
È giunta l'ora della prima puntata di Questione di incipit, nuova rubrica settimanale che verrà pubblicata ogni mercoledì. Lo so, lo so. Oggi è giovedì, c'avete ragione. Però non stavo nella pelle e quindi mi sono detta che in fondo non era un problema mostrarvela in anteprima, giusto? Giusto. Dopo oggi, comunque, ci si vede ogni mercoledì.
Che cosa è Questione di incipit? Ogni settimana vi riporterò l'incipit del libro che sto leggendo. Ovviamente, in questo, c'è qualcosa di bello solo se vi interessa il libro che sto leggendo. Magari, invece, non ve ne po' fregà di meno.
Ho così deciso di riportare due incipit. Certo, se non ve ne frega niente di uno, pensa di due! E invece no! Perché? Perché il primo incipit è del libro che sto leggendo e il secondo di uno di quei libri di cui vi parlo il lunedì appositamente scelto per essere letto e recensito. Ovviamente, oltre che all'identità dell'autrice, ha il suo peso nella scelta anche il tipo di incipit e cioè se questo presenta elementi che reputo interessanti dal punto di vista del trash. Voi lo sapete che nulla è normale da queste parti, quindi... Buona lettura!


Il libro che sto leggendo è Girl runner di Carrie Snyder nella traduzione di Gioia Guerzoni, oggi in libreria per Sonzogno. Leggendo la sinossi di questo romanzo, pubblicato in Canada nel 2014, ho subito provato una certa curiosità. Mi interessano i libri di un certo tipo, chi mi legge con una certa assiduità se ne sarà certamente accorto, e questo romanzo mi ha intrigata subito. Non per un reale interesse per lo sport, sono la persona più pigra al mondo, ma perché la vita di Aganetha Smart, medaglia d'oro alle olimpiadi del 1928, mi stuzzicava. Soprattutto perché, ultimamente, ho sviluppato questo interesse per i romanzi e i film (o le serie tv) ambientati durante i primi anni del '900. Aganetha racconta la sua storia a due ragazzi che, dopo averle fatto visita alla casa di cura in cui è ricoverata, le comunicano che sono intenzionati a girare un documentario su di lei. Aganetha, quindi, si ritrova a ripercorrere la sua carriera e la sua infanzia in Ontario.
Vi propongo l'incipit in anteprima, ditemi se incuriosisce anche voi!



Prologo
Canzone d'amore

Questa non è la canzone d'amore di Aganetha Smart.
No, e non parlatemi di stanchezza e di meritato riposo. 

Per tutta la vita non ho fatto altro che andare da qualche parte, mirando un punto fisso all'orizzonte che sembrava non avvicinarsi mai. All'inizio l'ho inseguito con abbandono, con fiducia, poi con una certa frustrazione, con dolore, e ancora più avanti con la lucidità di un'artista della fuga. Ormai è troppo tardi per fermarmi, anche se corro solo nella mente, per abitudine.
Fai quello che fai finché sei finito. Sei quello che sei finché non ci sei più. 

Mi chiamo Aganetha Smart e ho centoquattro anni. 
Non crediate che sia un vantaggio.
Sono sopravvissuta a tutte le persone che ho amato, e a tutte quelle che mi hanno amato. Non sono nemmeno invecchiata bene. Basta guardarmi.
Sono circondata da sconosciuti. Di giorno mi piazzano su una sedia a rotelle, in una stanza che sa di grasso di pollo e pannolini. Di notte vengo issata su un letto rigido e schiacciata da una coperta che puzza di ammoniaca. 

Questa routine dura da molto, troppo tempo. Sono un po' sorda – ma non quanto credono – e quasi cieca, quindi devo ammettere che la mia capacità descrittiva non è proprio al meglio. È del tutto possibile che io stia vivendo in una cattedrale di luce e che dorma in un letto a baldacchino, senza potermeli godere. Ma ho il sospetto che non sia così: il mio olfatto funziona perfettamente.
Per quanto riguarda il parlare, non sempre le frasi mi escono dalla bocca seguendo il mio comando. 

Faccio molta fatica a farmi capire. È tanto più facile biascicare pigramente una serie di parole sconnesse ma familiari, quelle che rimangono in attesa sulla punta della lingua, da usare in caso di emergenza o per le buone maniere: 
«Be', adesso, non saprei, ma perché...»
È una barriera, non fingo che sia diverso.

***

L'altro incipit di cui vi propongo la lettura, invece, riguarda una delle scrittrici che forse più mi stanno antipatiche sulla faccia della terra. No, aspettate, c'è prima la Mazzantini. Poi viene lei, la mitica, meravigliosa, "femminista" (ironia) Jamie McGuire, autrice della serie Beautiful, bestseller in tutto il mondo – e qui ci starebbe bene un minuto di silenzio.
Ho letto Uno splendido disastro, di cui vi ho anche parlato, e oggi vi propongo l'incipit del secondo romanzo della serie. Se non conoscete la storia basta cliccare sul titolo poco sopra, verrete direttamente catapultati nel mondo dei coatti per eccellenza.
Stiamo parlando di Il mio disastro sei tu, pubblicato da Garzanti nella traduzione di Adria Tissoni. Titolo originale dell'opera (ahahaha, opera!) Walking Disaster (giuro, quel "walking" non so se sta lì perché è un chiaro riferimento all'intelligenza zombiana – si potrà dire? – di Travis oppure se c'è qualche altro motivo), copertina come sempre vomitevole come tutte quelle della serie.

Prologo
 
Aveva la fronte madida di sudore e il respiro irregolare, ma non sembrava malata. La sua pelle non aveva quel colorito roseo, luminoso di sempre e i suoi occhi non erano più tanto vivi, però era ugualmente bella. La donna più bella che avessi mai visto.

La mano le cadde oltre il bordo del letto e contrasse un dito. Feci scorrere lo sguardo dalle unghie fragili, già in parte ingiallite, al braccio esile, alla spalla, per posarlo infine sui suoi occhi. Mi stava guardando, le palpebre appena socchiuse, ma era consapevole della mia presenza. Era una cosa che adoravo di lei: quando mi guardava, mi vedeva davvero. Non pensava all’infinità di lavori da sbrigare durante il giorno né si mostrava indifferente alle mie stupide storie. Mi ascoltava, ed era felice di farlo. Tutti gli altri annuivano senza prestarmi attenzione, lei no. Mai.

«Travis», disse con voce rauca. Se la schiarì e sorrise.
«Vieni qui, cucciolo. Va tutto bene. Vieni qui.»
Papà mi toccò la nuca e mi spinse in avanti, ascoltando nel contempo l’infermiera. La chiamava Becky. Era arrivata alcuni giorni prima. Parlava in modo dolce e aveva uno sguardo buono, però a me non piaceva. Non capivo perché, ma la sua presenza mi faceva paura. Sapevo che probabilmente era lì per darci una mano, eppure non era un bene, anche se papà era contento che ci fosse.
Grazie alla sua spinta arrivai abbastanza vicino alla mamma perché potesse toccarmi. Allungò le sue dita eleganti e mi sfiorò il braccio. «Va tutto bene, Travis», sussurrò. «La mamma vuole dirti una cosa.»

Mi cacciai il dito in bocca e me lo passai sulle gengive, in preda all’agitazione. Il suo sorriso si allargava quando mi vedeva annuire, perciò mi assicurai di muovere bene la testa mentre mi avvicinavo.
Con quel po’ di forze che le restavano mi attirò a sé e fece un respiro. «Quello che ti sto per chiedere è molto difficile, figliolo. Ma so che ce la puoi fare, perché adesso sei grande.»

Assentii di nuovo ricambiandola con un sorriso, anche se forzato. Non mi sembrava il caso di sorridere visto che appariva tanto stanca e sofferente, ma mostrarsi coraggiosi la rendeva felice e quindi lo feci.

***

Premesso che non so di cosa si stia parlando, credo della morte della mamma di quel coatto di Trevis, ma quel "mi cacciai il dito in bocca e me lo passai sulle gengive"? Ma perché? Generalmente così ci si testa la cocaina, ma non me la sento di esprimere giudizi avventati sui personaggi ancor prima di averlo letto. Anche se Trevis è coatto che aiutateme a dì coatto. Uno di quelli da cappellino invernale pure ad agosto, per intenderci.
Inutile dire che sono quasi più curiosa di leggere l'amica McGuire piuttosto che Girl runner, la mia naturale predisposizione al trash si fa sentire e scalpita nelle vene. Già partiamo male con questo riferimento alle gengive, sono sicura che andando avanti sarà ancora meglio.

Ditemi, voi da quale incipit siete più incuriositi? E, soprattutto, che ne pensate del dito sulle gengive? C'è qualche dettaglio che mi sfugge, qualche pratica esoterica di cui non sono a conoscenza e che richiede l'uso delle gengive? Fatemi sapere!

8 commenti:

  1. Il primo incipit mi ha sicuramente catturata più del secondo: intravedo una donna molto forte e dalla vita interessantissima da raccontare!
    Per la questione gengive non ti so aiutare, magari Travis aveva 8 anni e aveva perso i denti da latte?? Mistero!! Se lo leggerai ricordati di farci sapere se viene svelato l'arcano!! XD

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    1. Chissà se ha 8 anni o no, ma sta cosa davvero mi inquieta. Ovviamente lo leggo, cara, dico... Possibile resistergli? No! :P

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  2. Ahahahah anche questa rubrica è geniale, brava!Purtroppo il libro "serio" passa in secondo piano, inevitabilmente! Per quanto riguarda il dito sulle gengive, devo ammettere che anch'io avevo pensato alla cocaina, ma immagino che nel prologo Travis sia ancora un bambino, quindi o è molto precoce, o la McGuire deve spiegarci qualcosa :-)

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    1. Ma dici che è una tecnica dei bambini quella di passarsi le dita sulle gengive anche senza cocaina? Mmm io non lo facevo ma questo ovviamente non vuol dire niente (io non ero coatta da bambina). Però oh, cioè, vi tengo aggiornati eh.

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  3. Mi piace tantissimo la contrapposizione tra un signor incipit (il primo) e un secondo incipit che promette una storia fantasticamente deludente. Ole'!

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    1. Infatti il primo è davvero un signor incipit. Mi piace già Girl runner ^_^

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  4. Il primo incipit è toccante, davvero. Il secondo.. (c'è un secondo incipit?). Epperò devi smetterla di farmi comprare libri, mi sa che pure Girl Runner accederà al mio comodino

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    1. C'hai ragione, se parlassi solo di libri brutti non ci sarebbe questo problema. Devo pensarci bene, non è un'idea malvagia xD

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