Buongiorno!
Oggi mi sento buona e ho quindi voluto resuscitare Lo zampino dell'autore, quella rubrica nella quale faccio domande sceme agli autori (non necessariamente scemi) che mi va di importunare.
Nell'ultima puntata, di qualche mese fa – lo ammetto –, avevo importunato Alessandro Sesto con risultati davvero effervescenti (oggi mi sento anche creativa).
Perché, vedete, il trucco sta nello scegliere bene la persona che si reputa interessante e ci vuole tempo, gente, ci vuole tempo a scovarne qualcuna. Io, però, impavida, non ho gettato la spugna, non ho deposto le armi, non ho attuato la ritirata, NO. Ho cercato un altro autore interessevole e ho trovato Carlo Sperduti, autore di Gorilla Sapiens Edizioni.
Per chi non lo conoscesse, Carlo è un tipo alto, dal fisico longilineo e la camminata dinoccolata, con la barba e dei capelli composti come se ci fosse sempre vento, anche quando è in un luogo chiuso. Ha una risata che ti fa venire da ridere pure a te, anche se non sai perché sta ridendo. Legge un sacco bene ad alta voce, tanto che per un periodo ho pensato avesse fatto un corso di teatro. E niente, autore di un botto di roba ma ne parliamo più giù. Oppure ve li guardate qua: libri dell'esimio Sperduti.
Nereia: Prima di cominciare con le inutili domande, mi preme ricordarti che qui, su questo blog e soprattutto all’interno di questa rubrica, puoi dire quello che ti pare e nel modo che ritieni opportuno. Sentiti quindi libero di rispondere, di non rispondere e anche di mandarmi a cagare, laddove sia necessario. O non necessario.
Prima domanda. In Italia, ma spesso anche all’estero, essere uno scrittore non fa certamente guadagnare. Quando hai capito che ti sarebbe piaciuto non guadagnare scrivendo? Non so, era luglio e avevi appena ricevuto il tuo magro stipendio relativo al mese di maggio con solo due mesi di ritardo, così hai pensato che aggiungere a ciò che facevi un altro lavoro non redditizio era un modo per combattere il sistema? Hai provato, in quel momento, profonda nostalgia per tutti i giorni sprecati a fare temi in classe alle superiori? Io, confesso, faccio la blogger – altro lavoro per il quale non si guadagna manco una busta di cocce de fave – perché il cursore che lampeggia sul foglio bianco mi fa sviluppare un senso di baldanza e possanza che deve, in qualche modo, trovare sfogo.
Carlo: La domanda – spero di non essere scortese – è mal posta, poiché almeno uno dei suoi presupposti – segnatamente il fatto che io abbia ricevuto lo stipendio di maggio – non va oltre la superstizione; gli altri – se ho colto l’ironia – non si attagliano alla mia figura d’intellettuale. In più, non m’interessa tanto il mezzo quanto il fine: di fatto non ho guadagnato e tuttora non guadagno per merito delle più svariate attività, siano esse commerciali, culturali, fisiche o qualsivoglia. Insomma, un sistema lo si trova – altro che combatterlo – per questo genere di cose, a patto di non essere troppo selettivi o snob: se non si vuole guadagnare, nella vita, a volte bisogna adattarsi. Io ho sempre più di un asso nella manica, ma nella scrittura mi piace rimanere costante, anche in periodi di difficoltà creativa, perché – coi blog credo sia lo stesso – non c’è alcun pericolo di fallire. Lo faccio precisamente dai tempi delle superiori: i primi testi da cui non ho guadagnato furono proprio quei temi cui accenni. E sì, su questo hai colto nel segno, benché forse da una diversa prospettiva: non potrei non averne nostalgia.
Nereia: I titoli dei tuoi libri, compreso quello scritto in collaborazione con Predosin (Lo Sturangoscia, Gorilla Sapiens Edizioni), sono un po’ strani, ammettiamolo. Forse l’ultimo, Sottrazione (Gorilla Sapiens Edizioni), è quello che rispetto a Caterina fu gettata o Le cose inutili (Intermezzi Editore e CaratteriMobili) presenta un titolo più “normale”. La tua passione per i titoli strani è merito dell’alcol e delle droghe o è frutto di una devianza presente fin dall’infanzia e scaturita da visioni massicce di cartoni animati e possesso smanioso di fumetti e/o manga e/o giornaletti per gentiluomini e/o foglietti illustrativi del paracetamolo e/o menu di ristoranti turistici in centro?
Carlo: Come diceva don Ciccio Ingravallo, gli inopinati titoli non sono mai la conseguenza o l’effetto che dir si voglia d’un unico motivo, d’una causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti. Dunque l’alcol certamente; le droghe meno sovente; i cartoni animati e i fumetti, manga o meno, endovena; i giornaletti per gentiluomini no, almeno non direttamente, poiché per via immediata sono altri gli effetti sortiti; i foglietti illustrativi in genere come fonte d’ispirazione privilegiata; i menu turistici in qualità di maestri. Pur tuttavia, le concause non finiscono qui, e non in tutti i titoli esse tutte convergono, o convergono in egual misura. Insomma, lo gnommero non è mai esattamente il medesimo, ma in ogni caso appare incomodo dipanarlo, come vado a dimostrare.
Caterina fu gettata è la storia di un poco di buono che inavvertitamente getta nel cassonetto la sua compagna, nomata appunto Caterina, insieme ai rifiuti; Un tebbirile intanchesimo e altri rattonchi è una raccolta di racconti in cui ne compare uno intitolato Un tebbirile intanchesimo, basato su un incantesimo che rende dislessici e scritto perciò in maniera dislessica; in Valentina controvento la protagonista, per lavoro, deve inventare un macchinario contro la caduta dei cappelli a causa del vento; Ti mettono in una scatola è composto da undici racconti in cui si tenta di esplorare il concetto di scatola in tutte le accezioni, dalla più metaforica alla più parallelepipeda; Lo Sturangoscia narra delle rocambolesche conseguenze del furto dello Sturangoscia, un apparecchio contro ogni sorta di angoscia; Ne Le cose inutili una tesi di fondo, non del tutto esplicita ma facilmente rintracciabile, vuole che non ci sia nulla di utile al mondo o di realmente esistente, guardandosi bene dal considerare la cosa come uno svantaggio; in Sottrazione i racconti sono disposti dal più lungo al più corto.
In effetti, non so proprio da dove mi vengano questi titoli: matassa oltremodo intricata.
Nereia: Secondo te, si stava veramente meglio quando si stava peggio? Con l’alitosi imperante per la totale assenza di dentifrici, la sputacchiera nei luoghi pubblici con relativa figura professionale annessa (lo svuotatore di sputacchiere), i morbidissimi e ancor più comodi sedili di legno al cinema, l’utile ed elegante copri-televisore all’uncinetto?
Carlo: Io non so se si stava meglio quando si stava peggio, perché in questo detto l’uso del passato mi appare da sempre sospetto. Quel che è certo è che con la scomparsa dello svuotatore di sputacchiere si son persi dei posti di lavoro grazie ai quali qualcuno avrebbe potuto guadagnare del denaro, condizione che – ne abbiamo parlato prima – reputo incresciosa, dunque ben venga la modernità. È anche certo che, come non mi stanco di ripetere ai miei colleghi scrittori che vengono da me in cerca di una guida spirituale, si sbava meglio quando si sbava peggio.
Nereia: Passiamo per un attimo alle domande serie, finemente intervallate da quelle sceme. Penso a Un tebbirile intanchesimo e altri rattonchi, pubblicato da Gorilla Sapiens Edizioni nel 2013, e la domanda sorge spontanea. Come nasce la tua passione per la lingua e per i giochi di parole?
Carlo: Il fatto che tu pensi a Un tebbirile intanchesimo mi lusinga. Ti chiederei approfondimenti, ma quella che fa le domande qui sei tu, e io quello che dà risposte. Nella fattispecie, ciò che segue: io non ho una passione per la lingua o per i giochi di parole. Il fatto che mi si colga spesso a giocare con le parole è una conseguenza di quel che penso della lingua, ovvero: è uno strumento che fallisce i suoi scopi, che dovrebbero essere lo scambio di informazioni, la comunicazione, la comprensione reciproca e cose di questo genere. Non credo ci sia bisogno di approfondimenti su questo fallimento: è sotto gli occhi di tutti. Ora, non accontentandosi di fallire, la lingua, per sua stessa natura, fallisce fornendoci anche un altro disservizio, o meglio due disservizi fortemente connessi tra loro: l’illusione che ci sia una realtà cui la lingua dovrebbe riferirsi, con conseguenti e sconfinate limitazioni di pensiero di ogni essere umano; la semplificazione di questa supposta realtà, che viene così a trovarsi nella penosa situazione di non esistere e di essere banalizzata allo stesso tempo. La cosa divertente è che questo risultato – ricapitolando: la semplificazione estrema di un oggetto che non esiste, presupposto e risultato dello stesso strumento che dovrebbe comunicarlo – è raggiunto attraverso una complicazione vertiginosa, che è la struttura stessa di una lingua con tutte le sue applicazioni, le sue modifiche nel tempo, i suoi utilizzi sociali familiari lavorativi religiosi figurati e così via.
In questa situazione, cioè una volta arrivato a considerare la lingua come uno strumento del nulla o giù di lì, ecco che con i pezzi di questo strumento mi viene spontaneo giocare, perché nulla di serio o sensato è venuto fuori da questa complicatissima trama. Per fortuna.
Nereia: Tutti abbiamo un genere di libri che ci piace di più leggere. Non intendo un genere vero e proprio, tipo: “rosa, gialli, fantasy” che servono più che altro a fini commerciali, quanto piuttosto un tipo ben preciso di libro. Ad esempio, a me piace molto la struttura narrativa della letteratura americana, ma apprezzo anche Boris Vian, autore francese che conosci molto bene (e si intuisce soprattutto nel primo racconto di Sottrazione). Per me, che sono una lettrice curiosa e onnivora, sperimentare è sempre emozionante ma la mia comfort zone è fatta di letteratura americana. La tua, invece? Sei anche tu un lettore onnivoro oppure no?
Carlo: Mi piacciono: le storie che si servono di logiche non comuni con la stessa naturalezza – nel risultato, non nella composizione – con cui ci si serve tutti i giorni delle logiche comuni; i racconti e i romanzi umoristici, in special modo quelli in cui l’umorismo non è solo la componente stilistica fondamentale ma innesca le vicende narrate; i romanzi d’avventura e la letteratura fantastica; i libri in cui regole compositive e/o trame molto complesse siano prima di tutto al servizio di se stesse, voglio dire quelli in cui si avverte, più del resto, il piacere della scrittura guardata dal suo interno; i libri in cui non c’è traccia di moralismo o di volontà d’insegnamento; i libri in cui il lettore è considerato dall’autore parte attiva; le storie e i personaggi che non hanno pretese di realismo; le storie in cui tutto torna quando sembrava impossibile e quelle in cui, volutamente, qualcosa non torna. Forse, in generale, i libri in cui non mi sento in una comfort zone.
Nereia: Cerca di comporre una frase di senso compiuto utilizzando solo i titoli delle canzoni di Antonello Venditti. Per farti vedere che non è impossibile, ci provo io con le canzoni di Renato Zero: “Amico, magari mi vendo nei giardini che nessuno sa. La pace sia con te”.
Carlo: “È caduto l’inverno, signora Aquilone, dove l’uomo di pane brucia Roma. Quando verrà Natale l’uomo falco sotto la pioggia dimmelo tu cos’è.”
N.B. “Dove” non è un raccordo che ho voluto inserire per facilitarmi le cose, ma è il titolo di un brano di Venditti contenuto nell’album L’orso bruno del 1973.
Nereia: C’è sempre una prima volta. Un detto un po’ inquietante, a pensarci bene. Potrebbe essere usato per gettare vagonate di sfiga alla gente di cui non hai stima, ad esempio. A: “Non ho mai preso un calcio in faccia da un asino.” B: “C’è sempre una prima volta.” Ma anche Non c’è due senza tre è inquietante e, allo stesso modo, potrebbe anche essere usato con lo scopo di portare sfiga all’interlocutore. A: ”Questa è la seconda cacca di cane che pesto in meno di due giorni!”. B: “Non c’è due senza tre.” C’è qualche altro detto che, secondo te, può essere utilizzato per gettare sfiga e iettatura sul prossimo prima che il prossimo trova te? (Perdono, citazione praticamente dovuta). Pensi, tra l’altro, che sia un atteggiamento che bisognerebbe adottare?
Carlo: Ogni atteggiamento che ridimensioni l’ottimismo di certa gente è consigliabile. Di detti ce ne sarebbero molti: le disgrazie non vengono mai da sole, chi la fa l’aspetti, chi di spada ferisce di spada perisce, del senno di poi son piene le fosse, gatto rinchiuso diventa leone (poco noto ma adatto a un’epoca di gattari compulsivi), i figli sono pezzi di cuore (questo è macabro quindi ci sta bene)… ma soprattutto il lavoro nobilita l’uomo, che unisce l’inganno, il danno e la beffa in vista di una morte non preceduta da una vita simpatica.
Nereia: Grazie Carlo, è stato un piacere averti ospite sul blog. Ci vediamo il 24 aprile al bookclub del Klamm!
Carlo: Ciao Nereia, a presto.
Prima di andare via, Carlo ci ha lasciato il suo zampino (se così possiamo chiamarlo) che si offre – lo zampino – anche come citazione di un suo libro. A voi tocca scoprire quale!
Alla prossima puntata di Lo zampino dell'autore! Nel frattempo vi auguro mesi di prime volte e non c'è due senza tre.
Beeeeeeeeelllllla questa intervista!!!! Bravissimi entrambi!!!
RispondiEliminaComunque la citazione del libro in foto...è inquietante! XDDD
Ahahahah vero? xD Ma è stupenda!
Eliminastupenda sì, ma non guarderò più i piedi sperdutani con gli stessi occhi! :DDD
EliminaE' molto che non incappavo in un'intervista che fosse davvero interessante. Complimenti ai due protagonisti.
RispondiEliminaGrazie mille :)
Eliminabella intervista, bravi
RispondiEliminala foto è fantastica, talmente ben fatta che il libro è facile da individuare, quindi inutile svelare il titolo....
È vero che la foto è bellissima? xD
EliminaGrazie per i complimenti.
Complimenti per questa serie di interviste; questa, poi, mi è proprio piaciuta. Non conoscevo Sperduti, ma ora sarà difficile non sbirciare almeno uno dei suoi libri :D
RispondiEliminaEh, Sperduti è unico nel suo genere xD
EliminaGrazie mille bellezza, sono contenta ti sia piaciuta ^_^