Buongiorno gente!
Oggi vi parlo de Le serenate del Ciclone, romanzo di Romana Petri che ho letto grazie al Book Club Neri Pozza e che ho apprezzato ma solo per metà.
Pensandoci bene, mi pare di aver capito che il 2015 è stato l'anno dedicato alle letture non entusiasmanti, brutte o fatte al momento sbagliato e quindi, ovviamente, Le serenate del Ciclone non poteva piacermi molto, sarebbe andato contro tutti i principi fisici che la mia sfiga ha creato.
Ne sto leggendo un altro di libro che, proprio come tutto il resto, non mi emoziona particolarmente e meno male ché cominciavo a preoccuparmi.
E quindi, andiamo alla recensione. Mi scuso in anticipo con chi invece ha amato alla follia questo romanzo e potrà trovare offensive le mie parole – perché è già successo quando ne ho parlato altrove. Sappiate che, come tutte le recensioni presenti su questo blog, il mio è un parere personale e che non intendo offendere nessuno. Conosco, frequento e voglio bene a persone che non leggono nessun libro in un anno e non per questo mi sento offesa da loro (o viceversa). Per cui, sappiate che se anche a me non è piaciuto e a voi sì, amici come prima.
Titolo: Le serenate del Ciclone
Autore: Romana Petri
Editore: Neri Pozza
Pagine: 590
Prezzo: 18 €
Il mio voto: 3 piume
Trama
I libri sui padri sono sempre una resa dei conti col morto che, in quanto tale, non parla. Non così questo libro, per metà puro romanzo e per l'altra metà memoir familiare, che parte invece dal giorno in cui il futuro padre nasce e ne reinventa la storia. Romana Petri racconta così i sessantatré anni di vita di un uomo, dal 1922 al 1985, ma anche quelli italiani, dal fascismo alla guerra alla ricostruzione al boom economico e oltre. C'è l'infanzia nell'Italia rurale nella campagna vicino a Perugia, e poi l'adolescenza condivisa con una banda di scavezzacollo in quella città allora poco più grande di un paese, tra serenate notturne al balcone della bella di turno ed esuberanti scazzottate coi soldati alleati giunti dopo la liberazione. E poi c'è una Roma carica di promesse, in anni in cui nessuna meta è preclusa: il benessere, le auto sportive, le villeggiature, le conquiste amorose, un successo che pare senza limiti. Infine, la realtà che cancella l'illusione di non poter mai più tornare indietro: la caduta, le crisi, le difficoltà da cui riemergere con la tenacia degli anni formativi. Mario Petri detto "Ciclone" è un padre ingombrante. È grande e grosso ma capace di coltivare una sua fine sensibilità. Ha l'animo di un cavaliere antico, e il suo futuro sarà quello di un uomo di spettacolo nato per vestire i panni di personaggi eroici tanto nell'opera lirica quanto nel cinema. Intorno a Mario e Lena e ai figli nati dal loro grande amore s'incontrano tanti personaggi famosi...
La recensione
Le serenate del Ciclone è l’ultimo romanzo di Romana Petri, già autrice di diverse storie pubblicate precedentemente da Longanesi, e direttrice della casa editrice Cavallo di Ferro (di cui non riesco a raccogliere notizie, non so è fallita o esiste ancora).
Non avevo mai letto nulla di Romana Petri e dopo aver conosciuto la sua scrittura credo che leggerò altri suoi lavori perché credo che sia un’autrice molto brava a raccontare storie. Certamente lo è stata nel raccontare la storia di suo padre, Mario Petri, ne Le serenate del Ciclone.
Mario Pezzetta, in arte Mario Petri è stato cantante lirico, attore teatrale e cinematografico, padre e marito ingombrante. Figlio di Terzilia, donna buona e dal cuore d’oro e Attilio, padre violento e alcolista, Mario nasce in Umbria e passa la sua infanzia e giovinezza tra Perugia e Cenerente, paese d’origine della madre.
Grazie a un suo carissimo amico, Orlando, Mario si avvicinerà alla letteratura e al mondo dei libri, avvicinamento che Romana Petri esprime molto bene nei dialoghi: Mario è l’unico personaggio che quando parla lo fa in perfetto italiano, senza alcuna inflessione dialettale, in contrapposizione al dialetto prima umbro – durante l’adolescenza di Mario – e poi romanesco del resto dei personaggi.
Finita la scuola, Mario decide di trasferirsi a Roma per prendere lezioni di canto e, a malincuore ma comunque con una certa fermezza, lascia dietro di sé gli amici più cari – tra cui il Kid, figura molto importante della sua vita – e la madre e il fratello minore – che lottano con la figura di Attilio, sempre più violento a seguito delle sue frequenti bevute.
Una scelta difficile che Mario sente di dover comunque compiere, non senza aver chiesto alla madre di avvertirlo qualora Attilio dovesse far male e al fratello. Avvertimento che gli giungerà alle orecchie non per mano di Terzilia, desiderosa di lasciare che il figlio viva una vita migliore, ma per opera del fratello Paolo.
A Roma conoscerà il maestro Cusmic che lo preparerà per il grande debutto, un’audizione alla Scala di Milano. Il successo non cambierà, però, i sentimenti e il carattere di Mario che rimarrà, per tutto il libro, l’uomo semplice e genuino che è sempre stato.
Il romanzo è diviso in due parti: la prima racconta la vita di Mario dalla sua nascita fino al giorno in cui Lena, la ragazza che diventerà la moglie, darà alla luce la primogenita di Mario che lui, in vista dell’amore che prova per Roma, deciderà di chiamare Romana; la seconda, invece, racconta la vita di Mario attraverso gli occhi della figlia, passando da un periodo di successo clamoroso – minacciato già in precedenza dal soprano Giulietta Simionato con la quale intrattiene una relazione della durata di due anni – alla decadenza dovuta in parte al carattere iroso e ingombrante di Mario e in parte all’inevitabile avanzamento dell’età.
La prima e la seconda parte del romanzo si differenziano totalmente tra loro non solo per quanto riguarda il tipo di storia narrata in ognuno di essi, ma anche per il cambiamento del PoV – la giovinezza di Mario è narrata in terza persona mentre, nella seconda parte, il PoV diventa lo sguardo di Romana – e del registro stilistico.
Sono dell’opinione che, in realtà, è come se si trattasse di due libri differenti e io, a lettura terminata, avrei preferito che fosse proprio così.
Ho letto la prima parte del romanzo – quella riguardante la storia di Terzilia e della sua famiglia a Cenerente e dell’infanzia e dell’adolescenza di Mario, della sua banda, dell’amicizia con il Kid, della nascita della passione per il canto – con piacevole curiosità perché trovo che sia ben scritta e, soprattutto, ben narrata. Il ritmo della narrazione, seppure sia costituito da frequenti accelerazioni e rallentamenti, mantiene sempre vivo l’interesse del lettore. Cosa che, purtroppo, non ho quasi per niente riscontrato nella seconda parte del romanzo, quella narrata dal punto di vista di Romana, che ho letto e terminato con estrema difficoltà.
Ho trovato, inoltre, che il rapporto padre-figlia sia presentato in maniera esagerata, probabilmente stando a una scelta voluta dell’autrice che, però, mi ha davvero infastidita durante la lettura.
Non solo l’eccessiva esclusività del rapporto padre-figlia ha reso la lettura in parte noiosa, ma ha anche capovolto completamente il mio giudizio sul libro.
È chiaro già nella prima metà del libro che Mario non è un essere perfetto, trattandosi di un comune essere umano, ma la sua passione per la letteratura e la musica, il suo affetto sincero per il Kid e l’Orlando, il suo senso di autentica protezione nei confronti della madre e del fratello, lo rendono agli occhi del lettore – o, comunque, ai miei occhi – un puro di cuore.
Questa purezza d’animo, in un certo senso, nella seconda parte viene meno a causa di alcune decisioni prese e per delle azioni commesse.
Ciò che davvero mi ha reso difficile la lettura e ha contribuito a stravolgere la mia opinione, è l’atteggiamento di Romana che sembra mitizzare oltre misura la figura del padre, perdonandogli così degli atteggiamenti manchevoli nei confronti della moglie – madre di Romana –, della madre e del secondo figlio, David, che per paura dell’indole iraconda di Mario – nonostante lui non lo abbia mai sfiorato con un dito – preferisce trasferirsi in un collegio piuttosto che vivere sotto lo stesso tetto del padre.
Certo, si tratta pure sempre di un romanzo scritto sul proprio padre, sarebbe strano se qualcuno che decidesse di scrivere la biografia di un parente stretto ne dicesse male, ma in questo romanzo non traspare solo il perdono da parte della figlia, traspare soprattutto una sorta di giustificazione alle azioni, non sempre positive. Giustificazione che a volte, quando cioè ho trovato le azioni commesse discretamente gravi, mi ha addirittura indispettita.
Si tratta esclusivamente di sensibilità personale perché ciò che io ho riconosciuto come esagerato so che ha invece piacevolmente colpito e commosso gli altri lettori del Book Club Neri Pozza.
Le serenate del Ciclone ha suscitato in me emozioni molto contrastanti, tali da non farmi sviluppare idee totalmente chiare in merito; di conseguenza non riesco a darne un parere completamente oggettivo e me ne dispiaccio. Di certo non si tratta di una lettura adatta a tutti, ma è forse più indicata per quelle donne che hanno visto (o vedono) nel padre la figura maschile più importante della loro vita e cercano in un uomo la stessa, identica, “perfezione” a cui sono abituate (virgolettato voluto poiché è la perfezione assoluta di cui discute Freud nella sua teoria del complesso di Edipo – o Elettra nel caso si manifesti in una donna).
Io, che con mio padre ho mantenuto un rapporto discreto fino ai dieci anni e che poi si è trasformato in un rapporto di muta convivenza, per diversi motivi non solo caratteriali, non sono riuscita a non trovare fastidioso l’eccesso di perfezione, di mito, di spettacolarità attribuiti a un uomo che, invece, non è poi così eccezionale.
Uhm. Mi incuriosisce un sacco, anche proprio per la questione di cambio di registro. E' anche possibile che la parzialità sia fatta volutamente trasparire, che magari l'autrice non volesse fingersi oggettiva. Uhm.
RispondiEliminaTe lo impresto, ma dopo aver anche assistito alla presentazione... La parzialità c'è perché c'è, non perché volesse farla trasparire per chissà quale motivo. C'è perché lei parla del padre come un mito e ne è convinta. Però, cioè, magari io l'ho percepito così eh, magari è davvero il più bel romanzo ever e io cuore di pietra non l'ho capito :P
EliminaMia cara, a me il libro è piaciuto. No, non mi ha commosso e la seconda parte mi è piaciuta un po' meno. Ho visto in Mario Petri solo il protagonista di un bel romanzo (abbastanza spocchioso e troppo violento per i miei gusti), ben scritto. Non mi son posta molte domande su quanto ci fosse di vero in tutto ciò che la Petri ha raccontato. Avrei voluto porre qualche domanda alla scrittrice: il suo rapporto con la scrittura, la differenza tra scrivere e tradurre, che fine abbia fatto Cavallo di Ferro (adoro la letteratura lusofona), il suo rapporto col Portogallo... ma, come sai bene, è stato impossibile. E di ciò sono rimasta amareggiata.
RispondiEliminaAvrei anche gradito un confronto schietto tra opinioni diverse; ma anche questo è stato impossibile. Ulteriormente amareggiata.
RispondiEliminaCara, neanche io mi sono posta la domanda di quanto ci fosse di vero, ma alcune cose erano davvero al limite dell'assurdo (mascella ingessata e risata con mascella ingessata), per cui era impossibile non notarle. L'ho trovato eccessivo, in alcuni punti forzati. Due palle – e perdona il francesismo – la parte con il racconto dell'epica al mare, volevo bruciare il libro a quel punto.
EliminaInsomma, vero o non vero quanto raccontato, è esagerato. Per me, ovviamente. Però ecco, magari appunto dipende da me e dal mio non rapporto di eterno amore e affetto verso mio padre. Non lo sapremo mai, temo :P