Ooook! Questa rubrica (che poi, sarà una rubrica?) la uso talmente poco che m'ero pure scordata che era senza banner. E per questa puntata lo rimarrà perché sto ricorreggendo tutto questo poco prima di finire di fare un excel per lavoro e, credetemi, non ce l'ho davvero il tempo di mettermi a smanettare con Canva. Perché non ho nessun problema ad ammetterlo: io i banner me li faccio con Canva.
Eh, pure che parlo a destra e a manca di Photoshop, non lo so usare se non per ridimensionare e ritagliare le immagini. Lo uso tipo allo 0,1% delle sue potenzialità ma hey, mai detto io che voglio fare copertine dei libri!
Vabbè, comunque si vede dalla grafica basic di questo blog che sono impedita, altrimenti avrei un sito serio e non un header ganzo e il dominio blogger.
Ma va bene, quando deciderò di frequentare sentimentalmente un nerd le cose cambieranno (è più probabile che paghi qualcuno per farlo, comunque).
La situazione dei libri in lettura è leggermente migliorata, anche se di poco, perché continuo a distrarmi ma sono fiduciosa. Entro il weekend dovrei finirne un altro e, quindi, rientrerò in numeri considerati umani. Devo, forse, rassegnarmi anche a terminare – o accantonare e ricominciare in un secondo momento – i libri in standby perché altrimenti me li porterò dietro all'infinito e non c'ho nessuna voglia di lasciare le cose a metà per così tanto tempo. Va bene essere incostanti (io sempre) ma anche all'incostanza c'è un limite.
Adesso basta ché ogni volta c'ho i cappelli introduttivi più lunghi della storia e c'avete ragione anche voi se mi venite a dì che qui si fa tutto meno che parlà di libri.
Ve ne presento due oggi, uno letto ormai un secolo fa e per fortuna m'è piaciuto ché sennò avevo dimenticato pure la copertina, e uno terminato da poco (ma non definisco poco ché è meglio).
Guida rapida agli addii non è il romanzo più riuscito di Anne Tyler (almeno tra quelli che ho letto), lo ammetto. Più che un suo romanzo sembra come se fosse un racconto.
Pochissime pagine (214 in totale) ma che raccontano una storia toccante e commovente ma mai, assolutamente mai, triste.
Eppure Aaron, protagonista del libro, un motivo (e forse più d'uno) per essere triste ce lo avrebbe anche. E a tratti, in effetti, lo è.
Ma sono la delicatezza e la pacatezza con le quali Anne ci racconta di quanto accade che mi colpiscono sempre di lei, non tanto le storie che racconta.
Non ci sono urla in Guida rapida agli addii, non ci sono eccessi. Sembra che tutto accada in modo pacato, in ordine, al massimo della compostezza.
Il tema di questo romanzo della Tyler (e non solo questo, in realtà e, quindi, comincio a pensare che sia un tema che le sta molto a cuore) è l'analisi del passato attraverso il presente, un tema che già in qualche modo Anne aveva affrontato – seppure differentemente – in Per puro caso (titolo terrificante che non c'entra niente e, infatti, il titolo originale è Ladder of Years). Qui, infatti, piuttosto che inserire un viaggio (più una fuga, a dire il vero) e un conseguente nuovo inizio per analizzare il passato, Anne inserisce un aspetto che, inizialmente, avrà un che di soprannaturale. Continuando con la lettura il soprannaturale verrà meno, lasciando spazio alla consapevolezza di un grande dolore e dell'accettazione di una perdita.
Credo che in questo libro al posto di Aaron ci sia Anne, senza la disabilità e senza l'egoismo che lui stesso giustifica con l'essere disabile, ma sì. Credo che il dolore di Aaron sia il dolore di Anne, che ha perso il marito qualche anno prima che questo romanzo venisse pubblicato.
Questo, come dicevo inizialmente, è forse il suo romanzo meno riuscito perché non è un romanzo. È il racconto di un'accettazione di una perdita, forse la perdita di Anne stessa. A me, comunque, che sia il romanzo meno riuscito di Anne importa poco, perché qualcuno che riesce a scrivere in questo modo è difficile da trovare sulla faccia della Terra. E allora, ve ne prego, quando leggete Anne, soffermatevi anche sulle parole, perché metà del suo genio sta proprio nelle parole che utilizza, oltre che nella scelta dei piccoli momentidi quotidianità da raccontare.
«Sistemai lo spruzzatore vicino alle azalee e aprii il rubinetto al massimo, poi tornai a sedermi. Così scoprii il piacere di stare a guardare un prato mentre veniva annaffiato.
Giuro che sentivo la gratitudine dell'erba. Anche gli uccelli sembravano riconoscenti; arrivarono dal nulla come se in qualche modo si fosse sparsa la voce, e cinguettavano allegri svolazzando tra le gocce».
Ogni suo romanzo è un gesto d'affetto verso il lettore. Verso di me sicuramente.
Ho scoperto l'esistenza di Made you up su Goodreads, dove scopro circa il 90% dei libri che poi acquisto in inglese. Uso Goodreads esclusivamente per essere informata sulle uscite di libri in America, Regno Unito e Australia.
Sembra strano, ma ho iniziato a farlo perché avevo questa malsana idea di dovermene andare in Anglosassonia a lavorare in una libreria e, quindi, conoscere il mercato anglosassone era un obbligo. Ho poi accantonato l'idea della libreria ma, ormai, avevo sviluppato un interesse per altri libri e non solo quelli dei cinque scrittori in croce che trovi da Feltrinelli International (Dan Brown, Kinsella, Rowling, Grisham, Murakami).
Ogni tanto, quindi, capita che io legga un libro in inglese per tenermi in allenamento – faccio ancora abbastanza schifo in inglese, ma questi sono inutili dettagli.
Ho scelto Made you up di Francesca Zappia perché mi sembrava scorrevole, semplice, e perché aveva una critica molto positiva su Goodreads. L'ho iniziato in un pub a Dublino e, se non fosse stato un periodo del cacchio ma fossi rimasta a Dublino per una settimana anziché quattro giorni, lo avrei terminato in pochissimo tempo.
Made you up è la storia di Alex, una ragazzina che da sempre lotta per comprendere la differenza tra realtà e immaginazione. Ad Alex, infatti, è stata diagnosticata una lieve schizofrenia che le causa problemi con la percezione, appunto, della realtà. Ciò che vede, le persone con le quali parla, sono reali o sono frutto della sua immaginazione? Nonostante questo, comunque, i genitori cercano di farle vivere una vita più o meno normale, mandandola a scuola e facendo sì che interagisca con ragazzi della sua età. Così, Alex entra a far parte di un gruppetto di amici, diciamo più un club che un gruppetto di amici, a capo del quale vi è Miles. Il libro, di per sé, è anche piacevole ma soffre di una quantità di inesattezze e cliché che, forse, era il caso di evitare. È uno young adult e non mi aspettavo la stessa precisione di un trattato di psichiatria sulla schizofrenia, ma neanche che passasse il messaggio che chi soffre di schizofrenia ha solo le allucinazioni visive "piacevoli". Insomma, non è propriamente così. Francesca Zappia avrebbe potuto non cercare una giustificazione razionale al disturbo, avrebbe potuto lasciarlo così, senza spiegazione, e sarebbe andato bene lo stesso perché avrebbe potuto utilizzare l'espediente di cosa è vero e cosa no anche con il lettore. E invece niente. Il risultato è un guazzabuglio di buone idee e cattive riuscite, peccato. Oltre che dare prova di una disinformazione sua, ma pure di tutti quelli che hanno lavorato al libro, a tratti imbarazzante.
Trovo che, ultimamente, la qualità dei libri per ragazzi si sia abbassata notevolmente perché, purtroppo, il cliché è dietro l'angolo. Sbaglio forse? Sarà solamente una mia impressione? Voi che dite?
Non ho letto tantissimi libri per ragazzi, però forse hai ragione. Un sacco di buone idee, ma mai realizzate al pieno delle proprie potenzialità. Di recente ho letto "Tredici" di Jay Asher sul suicidio, che non so come abbia fatto, ma mi ha delusa e compiaciuta allo stesso tempo. Tra un po' ne parlerò sul mio blog, probabilmente.
RispondiEliminaComunque nonostante il tuo commento "Made You Up" mi ha ispirata tantissimo, vorrei troppo leggerlo - sarà colpa di quella copertina bellissima? *_* Però il fatto che la protagonista abbia solo visioni positive - mi pare di aver capito questo - non significa per forza che la scrittrice sia disinformata o che volesse far credere che la schizofrenia funziona così per tutti. È una malattia molto variegata e che ha molte tipologie diverse, mio padre lavorando in carcere incontrò un tipo che credeva di parlare con Bob Marley e basta, vedeva solo quello. Altri hanno visioni orribili. Insomma, non si sa mai! Io una possibilità gliela do, poi si vedrà. XD
Alex nel libro ha due solo effetti della schizofrenia: il primo è che vede cose e persone che in realtà non ci sono e il secondo è una cosa che lei chiama "paranoia" ma che in realtà non lo è (fare una battuta sul non mangiar e il cibo fatto da altri perché potrebbe esserci il veleno e controllare la stanza prima di entrare non è proprio paranoia). Non so, in genere come è stata trattata la malattia nel libro non è che mi abbia esattamente convinta (e lo dico da laureata in parte in psicologia – ho fatto psicologia del marketing, ma il biennio è uguale per tutti più o meno e ho fatto esami sui disturbi –). Certo, la mia preparazione non è eccellente, ma mi sa neanche quella di Francesca.
EliminaComunque mi compiaccio di non essere stata l'unica ad avere questa impressione (per fortuna!). Leggo su Goodreads altra gente che non ha approvato. Se lo becchi, leggilo, se non altro per le bellissime illustrazioni a inizio capitolo (motivo molto valido, mi rendo conto) xD xD Uh, e per la scena delle aragoste.
Anyway, "Tredici" lo conosco perché ne sento parlare da eoni, ma non mi sono mai convinta davvero a leggerlo. Non so perché, a pelle non m'ha mai convinto. Avrò fatto bene?